I primi pensieri che riesci a formulare appena uscita dalla sala dopo aver visto Youth-la giovinezza, l’ultimo film di Paolo Sorrentino, sono tanti. Va rivisto più volte per interiorizzarlo e interpretarlo, tanto che lo stesso regista fatica a commentarlo nelle interviste e preferisce lasciar parlare i suoi splendidi fotogrammi.
In quei 118 minuti sono riassunti i sentimenti umani, le varie fasi della vita, la paura di essere invisibile e quella del successo, l’ansia da pagina bianca e la nausea per le troppe parole, la certezza dei vecchi di sapere tutto, la meraviglia, il tradimento, il perdono, l’Oriente e l’Occidente, il desiderio e la leggerezza, in breve tutto ciò che è più profondamente umano.
Ne La grande bellezza Sorrentino aveva raccontato la falsità del potere e del mondo dello spettacolo che si è evoluto in società dello spettacolo, con le sue leggi folli. In Youth il regista analizza la verità umana e non è cosa di poco conto far trasparire i tormenti umani e il bisogno che tutti noi abbiamo di leggerezza e desiderio.
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C’è una frase molto bella che val la pena riportare. Il giovane attore interpretato da Paul Dano, deve calarsi nel personaggio di Hitler per il suo ultimo film e parlando con Harvey Keitel riflette così:
«Devo scegliere tra l’orrore e il desiderio. E scelgo il desiderio che , per quanto indicibile e impuro, è il motore che ci fa andare avanti»
Subito dopo la macchina da presa inquadra un monaco Buddhista che levita. Se pensiamo che il nirvana corrisponde all’atarassia, all’annullamento di qualsiasi desiderio per raggiungere la piena serenità, il contrasto è evidente. Due culture, orientale e occidentale, così distinte, ma così in grado di stare in armonia in quel luogo sospeso da ogni giudizio e opinione, rappresentato dall’albergo di lusso tra i monti svizzeri, unica location della pellicola. La giovinezza è senza dubbio un filo conduttore che però, va precisato, si sviluppa in maniera tentacolare facendo dipanare ogni questione per conto suo, rendendola in grado di danzare divinamente con le altre.
Tornando alla giovinezza, è evidente l’obiettivo del regista di contrapporla continuamente alla vecchiaia, motivo per cui in ogni scena il dialogo si svolge sempre tra esponenti delle due fasi. Crescendo ci si convince di sapere tutto, di aver visto tutto, di non potersi aspettare più granché dalla vita, ma ecco che proprio nel momento di totale noia e malinconia, l’altro ci sorprende con una frase, un gesto, che ci riportano in una sfera di fiducia e meraviglia nei confronti di ciò che ci circonda.
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L’augurio che credo vuol fare Sorrentino è questo: in un mondo così accecato dalla bramosia di potere e dall’orrore che essa provoca, torniamo alla nostra interiorità, ai sentimenti quotidiani. Ritorniamo a metterci in gioco, desiderare, sorprenderci. Se La grande bellezza emana un forte odore di morte e disperazione, Youth è un inno garbato alla vita, in tutte le sue forme; tanto più il primo esprime la pesante cappa di immobilismo che il potere e la vigliaccheria di esso generano, quanto più il secondo esprime il desiderio che l’uomo ha di vivere, nonostante tutto. E di farlo, se possibile, anche con un po’ di leggerezza.
di Susanna Causarano
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