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William Butler Yeats, il poeta dell’Irlanda e del suo folklore

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3 minuti di lettura

È il sabato di Pasqua del 1916, esattamente un secolo fa, quando i cannoni cessano di far fuoco su Dublino. Patrick Pearse e James Connolly, poi giustiziati, ordinano ai propri uomini – meno di 1.500, contro 16.000 soldati del British Army – di deporre le armi: tra loro ci sono Michael Collins, Éamon de Valera e altri protagonisti dell’Irlanda che verrà. Manca uno dei maggiori ispiratori della rivolta: William Butler Yeats (1865-1939), che nei mesi successivi dedicherà all’evento uno dei suoi testi più famosi, Easter, 1916:

I write it out in a verse—
MacDonagh and MacBride
And Connolly and Pearse
Now and in time to be,
Wherever green is worn,
Are changed, changed utterly:
A terrible beauty is born

Nato nella County Dublin nel 1865, Yeats dimostra fin da giovane una propensione per le arti, cui è iniziato dal padre John Butler Yeats, pittore: nell’atelier paterno il futuro Nobel ha modo di conoscere intellettuali di varia sorta, da Dublino a Londra, dove la famiglia si trasferisce. Le origini anglo-irlandesi e quindi protestanti del padre e quelle celtiche della madre (che fin da quando è fanciullo gli racconta le fiabe della natia Sligo) creano un contrasto nella sua interiorità, che si risolve durante gli studi nella capitale britannica: affascinato dalla poesia romantica inglese (Spenser e Shelley soprattutto), da quella simbolista francese e dal misticismo in voga all’epoca, compone dei primi poemi dal gusto ossianico, densi di riferimenti al ciclo feniano, uno dei quattro maggiori nella mitologia irlandese.

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A ventiquattro anni conosce una delle due donne che più influenzeranno la sua vita, Maud Gonne; costei, una giovane ereditiera fervente nazionalista, lo ammira come poeta ma, nonostante le insistenze di lui (le chiederà la mano non meno di quattro volte, mentre lei sposerà il rivoluzionario cattolico John MacBride, giustiziato dopo l’Easter Rising), non lo accetterà mai come compagno.

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www.theguardian.com

A trentun anni viene invece presentato a Lady Augusta Gregory: il loro sodalizio artistico porterà, insieme all’opera di Padraic Colum e John Millington Synge, al movimento noto come Celtic Revival. La fondazione dell’Abbey Theatre, insieme agli scritti di una generazione di artisti, contribuirà alla creazione di una solida identità culturale irlandese: abbiamo fatto gli Irlandesi, bisogna fare l’Irlanda. Yeats, dando continuità al suo progetto, sarà anche senatore dello Stato Libero d’Irlanda, l’entità sorta con l’Anglo-Irish Treaty nel 1921, ma si distanzierà presto dalle frange più violente del nazionalismo (l’agognata Maud Gonne gli rinfaccerà di non essere, al contrario del marito, un uomo d’azione).

Nel 1923 gli viene consegnato il Nobel per la letteratura, con la motivazione:«for his always inspired poetry, which in a highly artistic form gives expression to the spirit of a whole nation»,un riconoscimento importante della sua attività, politica e culturale. Morirà nel 1939, prima dello scoppio della guerra, stimato dai maggiori artisti britannici e irlandesi, ma anche da altri personaggi, come il filosofo e anglista italiano Mario Manlio Rossi, con cui stringerà una forte amicizia negli ultimi anni.

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www.mythicalireland.blogspot.com

Considerato da molti un poeta di transizione tra il simbolismo ottocentesco e il modernismo del ‘900, Yeats usa raramente il verso libero, prediligendo le forme tradizionali. A queste aggiunge, nella prima fase della sua carriera, l’allusività mistica che, seppur scemando con gli anni, lo contraddistinguerà per tutta la vita. Dopo il primo periodo, infatti, il gusto celtico-ossianico ereditato dalla madre lascerà il posto a tematiche più legate al contesto socio-politico dell’epoca: la guerra, la ribellione, l’occulto, il declino della civiltà; la sua sfiducia nella democrazia è per alcuni legata al sorgere dei totalitarismi (Ezra Pound gli fece da segretario nel 1913), per altri è in relazione alle sue visioni mistiche e apocalittiche.

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A prescindere dalla sua visione politica, in Yeats più che in tutti gli altri letterati dell’Isola di Smeraldo è presente l’amore per la terra celtica; tra le sue opere più lette e amate sono infatti le due raccolte sulle fiabe irlandesi, relative alla sua gioventù: Fairy and Folk Tales of the Irish Peasantry del 1888 e Irish Fairy Tales del 1892. Pur non ancora mature dal punto di vista scientifico (l’Irish Folklore Commission nacque infatti nel 1935), i due scritti mostrano una sensibilità non comune, dimostrandosi un accurato e prezioso lavoro di ricerca e di trascrittura del folklore irlandese, desunto dagli anziani dell’ovest, delle contee di Galway, Mayo, Sligo e Donegal, non raggiunte dal razionalismo novecentesco, che ancora oggi rimangono terre vergini e ispiratrici di leggende. Come dice Yeats stesso:

Il Celta, le sue “cromlechs” e i suoi monoliti non cambieranno di molto – in verità ci si deve chiedere se mai qualcuno cambi in qualche misura. Nonostante le schiere di negatori e assertori, di sapienti e professori, la maggioranza delle persone è ancora riluttante a sedere a tavola in tredici, o a permettere che le si versi il sale, o a camminare sotto una scala, e si spaventa se vede una gazza sola che agita la sua coda striata. Ci sono, naturalmente, uomini illuminati che hanno negato tutte queste cose; tuttavia persino un giornalista crederà nei fantasmi se lo attirate dentro un cimitero a mezzanotte, perché siamo tutti visionari se andiamo a scavare nel profondo. Ma il Celta è un visionario senza bisogno di scavare.

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Un sentito ringraziamento a Fabio Mantegazza, brillante appassionato dell’Isola di Smeraldo e celtista in fieri, senza il quale questo articolo non avrebbe preso corpo.

Immagine di copertina: commons.wikimedia.org

 


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Giulia Malighetti

23 anni, laureata a pieni voti in Lettere Classiche alla Statale di Milano, amante della grecità antica e moderna spera, un giorno, di poter coronare il suo sogno e di vivere in terra ellenica.

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