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William Shakespeare
e la sua modernità
nel cinema del Novecento

1 minuto di lettura

Vero e proprio autore moderno, le opere di Shakespeare sono state oggetto di numerose trasposizioni cinematografiche, già nell’epoca dei film muti. Ma è col sonoro che alcuni tra i registi più grandi si sono potuti confrontare direttamente con i drammi del Bardo, dando vita a autentiche pietre miliari nella storia della Settima Arte.

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Joseph Finnes in “Shakespeare in Love” (1998)

William Shakespeare è stato il primo vero autore moderno: sensibile scrutatore dell’animo umano ed abile drammaturgo, egli è stato in grado di portare in scena il «gran teatro del mondo» attraverso i suoi personaggi, situazioni e drammi umani che a distanza di secoli riecheggiano grazie alla loro modernità. L’intera sua opera si iscrive quindi in una dimensione esistenziale, toccando tutti gli aspetti del vivere umano, da quello ideologico-politico a quello storico-sociale, fino ad arrivare a quello psicologico-morale, in un concerto di azione e pensiero che hanno conservato nel tempo la loro sorprendente attualità. È proprio grazie a queste sue caratteristiche che il corpus shakespeariano nel XX secolo è stato utilizzato per numerose trasposizioni cinematografiche, avvicinando un pubblico molto più ampio rispetto a quello teatrale, più elitario, al mondo del drammaturgo inglese.

La fortuna che Shakespeare ha avuto nel cinema muto dimostra quanto il suo teatro, seppur privo di un testo a sorreggerlo, contenesse, già solo per la varietà dell’intrigo e la bellezza delle finzioni sceniche, tutti gli elementi che il cinema di un tempo richiedeva da una sceneggiatura. Il conseguente avvento del sonoro ha offerto poi ai cineasti la possibilità di confrontarsi direttamente con il testo dei drammi, segnando una nuova fortuna per le opere di Shakespeare.

Il celebre regista Orson Welles (1915-1985) si è misurato con alcune tra le tragedie più famose del Bardo: Macbeth e Otello. Il primo, realizzato nel 1948, è un cupo e brutale dramma da cui si evince tutta la creatività del regista, il quale, a causa di un budget ridotto, ha girato tutte le riprese in appena 23 giorni, riuscendo omunque ad ultimarle col supporto di una produzione specializzata in B movies: grazie ad essa le scenografie sono caratterizzate da un forte impianto espressionista. Macbeth, però, è considerato una delle pellicole meno riuscite di Welles, poiché il regista l’ha resa eccessivamente teatrale, puntando soprattutto sulla recitazione degli attori, che utilizzano un linguaggio aulico e di difficile comprensione a discapito della spettacolarità delle immagini tipiche delle produzioni successive.

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Nicole Erbetti

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Redazione

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