Con la guerra in Ucraina in corso, un’opposizione decisamente più rumorosa all’estero che in patria e una comunità internazionale spaccata, il quinto mandato di Vladimir Putin è stato confermato dall’esito delle elezioni presidenziali svoltesi in Russia tra il 15 e il 17 marzo 2024. I risultati ufficiali pubblicati dalle autorità russe attestano a Putin l’88% delle preferenze, con un’affluenza del 77%. Questi numeri, secondo il capo del Cremlino, sono chiari segni di un enorme successo politico personale e della coesione della società russa, ma rappresentano una truffa all’insegna dalla repressione politica a parere dei principali leader occidentali. Nel mentre, i Capi di stato dei paesi vicini alla Russia, come Cina, Corea del Nord e Cuba si congratulano con Putin. Per quanto riguarda l’Italia, Matteo Salvini si dimostra ancora una volta come una voce fuori dal coro in Europa: «Quando il popolo vota ha sempre ragione» dichiara il nostro ministro dei trasporti alla stampa. Il ministro degli esteri Antonio Tajani prende immediatamente le distanze dalla dichiarazione del suo collega e sposa la linea europea sintetizzata da Joseph Borell: «In Russia le elezioni non sono state libere e giuste». Meloni cerca di rimediare all’imbarazzo causato dal segretario della Lega ribadendo che il «governo è unito».
Però, neppure i più critici nei confronti del presidente russo si dimostrano sorpresi: la vittoria di Putin sembrava scontata anche per via della debolezza dei candidati di opposizione a cui è stato concesso di correre per le elezioni, che France24 definisce come «I personaggi di supporto nella coreografia elettorale del 2024». Parliamo dell’ultranazionalista di destra Leonid Slutsky, che poco dopo aver registrato la sua candidatura nel 2023 aveva dichiarato di «non sognare di battere Putin», del comunista Nikolai Karitonov e del progressista Vladislav Davankov.
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I russi in diaspora e l’opposizione a Putin
Molti altri potenziali rivali di Putin sono stati esclusi perché considerati dalle autorità “agenti esterni”, incriminati con qualche accusa di facciata, arrestati o uccisi. Questo è ciò che è accaduto ad Aleksej Navalny, leader indiscusso dell’opposizione negli ultimi anni, morto in prigione a febbraio 2024 in “circostanze sospette”: vale a dire ucciso per ordine del Cremlino secondo molti, baciato dalla sfortuna secondo Putin. Il presidente russo ha infatti parlato di Navalny, per la prima volta dalla sua morte, in occasione del discorso di vittoria post-elettorale il 18 marzo, sostenendo che la Russia stava lavorando per scambiare Navalny con prigionieri detenuti in carceri occidentali, ma poi è morto: «È la vita» ha commentato Vladimir Putin. Navalny è stato però protagonista delle manifestazioni di dissidenza che si sono svolte contro il presidente russo soprattutto al di fuori della madrepatria, specialmente nelle capitali europee, come a Berlino, e dell’Asia centrale, come a Erevan. La diaspora russa è apertamente molto più critica nei confronti del potere forte di Putin rispetto alla popolazione che vive direttamente sotto il suo controllo. A dare una leadership a queste folle di emigrati ed esiliati, ma anche ai critici che vivono in Russia, è oggi Yulia Navalnaya, moglie dell’oppositore recentemente deceduto. In occasione di queste elezioni, Navalnaya ha rilanciato l’ultima proposta di mobilitazione espressa dal marito prima di morire: la campagna “Mezzogiorno contro Putin”. L’invito, per il 17 marzo, era quello di andare a votare in massa in protesta contro il presidente, in Russia e nelle ambasciate russe in altri paesi, a mezzogiorno in punto e, ovviamente, votare altri candidati oppure annullare le schede scrivendo frasi di protesta.
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Ucraina ed elezioni russe
Nell’ambiguo clima delle elezioni 2024, il tema che più di tutti ha condizionato le relazioni internazionali e l’economia russa negli ultimi due anni è stato bannato dai programmi elettorali dei candidati alternativi a Putin, e presente invece nella sua propaganda sulla base della stessa retorica nazionalista che il capo del Cremlino sfodera da due anni a questa parte. Anche nel discorso post-vittoria Putin ha parlato della guerra in Ucraina come di un teatro di confronto tra Russia e NATO che, in caso sfociasse in uno scontro diretto, secondo il presidente russo porterebbe «a un passo dalla terza guerra mondiale». Una delle tante dichiarazioni apocalittiche in cui Putin, ma anche tanta stampa e politica occidentale, si è speso negli ultimi tempi. Quella che viene percepita come una grossa minaccia nel mondo atlantico può però essere letta anche come una risposta alle dichiarazioni di Emmanuel Macron riguardo l’impossibilità di escludere a priori l’invio di soldati francesi in Ucraina, che avevano agitato la diplomazia europea, suscitando malumori e dichiarazioni contrarie da parte del cancelliere tedesco Olaf Scholz. Uno scambio di botta e risposta, insomma, che si inserisce nel gioco di provocazioni belliciste in cui è immerso il dibattito politico internazionale da ormai troppo tempo.
Da un lato l’élite politica russa parla di Ucraina principalmente per ammonire la NATO o per decantare una propagandata “denazificazione”, dall’altro l’Occidente parla di Russia principalmente per difendere a parole la causa ucraina, mentre le truppe di Kyiv sono costrette a razionare le munizioni con cui cercano di tenere a bada gli invasori, e mentre aumentano i civili che muoiono colpiti dai missili russi che il sistema di difesa aereo ucraino non ha le munizioni per intercettare. Nel frattempo, in Russia l’élite politica e militare nelle mani di Putin, invece che parlare di Ucraina, ha silenziato la società civile e ha fatto in modo che nelle regioni occupate gli ucraini, filorussi e non, votassero separati dai soldati armati che sorvegliavano il seggio solo da una sottile tendina di cabina elettorale.
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