L’Arengario di Monza apre le porte a una mostra dedicata alla tata/fotografa Vivian Maier, visitabile fino all’8 gennaio 2017. È il 2007 quando l’americano John Maloof acquista all’asta per 380 dollari degli enormi scatoloni appartenenti a Vivian Maier, mentre cerca del materiale per un libro sul suo quartiere di Chicago, ignaro dell’enorme fortuna che vi avrebbe trovato.
Le casse, oltre ad oggetti personali, sono piene di negativi e rullini ancora da sviluppare di fotografie scattate dalla donna fra Chicago, New York e Los Angeles dagli anni ’50 fino al 2000 circa. Le foto denotano incredibile gusto artistico e immortalano soggetti in strada immersi nelle proprie attività quotidiane, rivelandosi le antenate del genere oggi noto come street photography. Nel documentario Finding Vivian Maier, che ha ricevuto la candidatura agli Oscar 2015, John Maloof racconta la ricerca dell’autrice delle fotografie, riuscendo a ricostruire solo parzialmente la verità intorno alla donna.
Vivian Maier, classe 1926, svolgeva il lavoro di bambinaia presso famiglie benestanti, trascorrendo molti anni soprattutto nella città di Chicago. Durante il tempo libero, indossata la sua Rolleiflex a tracolla, usciva alla ricerca di soggetti da ritrarre, immortalando in special modo bambini, anziani e individui ai margini della società. Spesso Vivian realizzò degli autoritratti fotografandosi attraverso specchi e vetrine.
La sua attività di fotografa rimase comunque sconosciuta, poiché non mostrò a nessuno le sue opere. Da ciò che John riesce a scoprire interrogando i bambini che l’avevano avuta come tata e le persone che l’avevano conosciuta, emerge il quadro di una donna dal carattere schivo, misterioso, sensibile.
Anche la sua provenienza è incerta, poiché ad alcuni diceva di essere nata in Francia, ad altri a New York. La sua persona rimane dunque avvolta nel mistero e probabilmente tale lo rimarrà, poiché Vivian è morta in solitudine e in povertà nel 2009, il suo appartamento è stato ritrovato pieno di riviste, segno che fino alla fine ha conservato quello spirito giornalistico che aveva contraddistinto le sue fotografie.
John Maloof, dopo il documentario, si è impegnato a sviluppare i rullini secondo lo stesso stile con il quale la fotografa aveva stampato alcune foto, e ad organizzare mostre fotografiche, facendo conoscere ed apprezzare il lavoro di Vivian in tutto il mondo. Non ci è dato sapere se lei ne sarebbe stata felice o meno, visto il modo in cui l’artista aveva nascosto il suo lavoro tutta la vita.
Silvia Franco