Vittorio Sereni (1913-1983) è un poeta di Luino, sul Lago Maggiore, in Lombardia. Negli anni Cinquanta verrà iscritto dal critico Luciano Anceschi alla Linea Lombarda, che raccoglie una serie di poeti lombardi accomunati da una spiccata tendenza all’espressione del reale e del quotidiano. E inoltre è stato uno dei poeti della “terza generazione”, ossia quei poeti nati prima del 1915, assieme a Mario Luzi, Giorgio Caproni e Attilio Bertolucci.
E gli altri allora - mi legge nel pensiero - quegli altri carponi fuori da Stalingrado mummie di già soldati dentro quel sole di sciagura fermo sui loro anni aquilonari... dopo tanti anni non è la stessa cosa? tutto ingoiano le nuvole belve, tutto - si mangiano cuore e memoria queste belve onnivore. A balzi nel chiaro di luna si infilano in un night. (da Strumenti umani)
Le prime stagioni poetiche di Vittorio Sereni
La poesia di Sereni nasce tra le acque calme del lago della sua Luino. L’elemento spaziale lacustre infatti pervade fortemente la sua prima raccolta giovanile, Frontiera (1941), dove il lago e i suoi ambienti si scontrano con gli eventi della vita del poeta. Ed è così che si viene a creare una sorta di rapporto di tensione tra la fine della giovinezza, la paura della morte, il sentimento del chiudersi di un’epoca, con i segnali, i simboli dell’ambiente circostante. Quasi che tra le onde immobili del lago, tra la nebbia e il vento che imperversano sull’acqua, si nasconda un «brivido sottile» dei tempi perduti, in una «figurazione d’idillio» (Testa, 2005).
La seconda raccolta di Vittorio Sereni, Diario d’Algeria (1947) invece insiste sulla dimensione esperienziale, insomma sull’esperienza del poeta imprigionato negli ultimi anni della guerra nei campi di detenzione alleati in Algeria. Da qui prende piede anche un argomento che sarà molto forte nella poesia di Sereni, ossia il dolore di non aver partecipato alla resistenza.
Entrambe le raccolte trovano un forte elemento trascendentale verso la realtà, intrise quasi di quella dimensione orfico-simbolista della poesia ermetica. Anche se, si badi bene, la poesia di Vittorio Sereni è soltanto influenzata dall’ermetismo, poiché non ne prenderà mai i connotati come quella di Luzi degli stessi anni. Ma l’anno della svolta per Sereni è il 1965. Infatti in quell’anno il poeta pubblica: Gli strumenti umani (acquista).
La svolta: «Gli strumenti umani»
Gli strumenti umani, così come Nel Magma, si pone l’ambizione di trattare e analizzare le problematiche del reale contemporaneo. In questa raccolta «nessuna occasione viene taciuta», ma tutto viene raccontato, lasciando però lo spazio a questo tutto, lasciandogli la possibilità di parlare. Si vengono a creare due piani distinti: da una parte il piano personale del poeta che racconta i suoi sogni, la sua giovinezza, gli scenari e i luoghi che hanno fatto parte della sua vita. Dall’altra il piano storico, del contemporaneo, di questo tempo che ha mutato tutte quelle cose, che ha mutato le vie e gli spazi della Milano, ad esempio, della giovinezza del poeta, lasciando ogni cosa in preda al capitalismo e al consumismo.
L’io di conseguenza diventa preda delle relazioni con le altre voci, che gli si oppongono quasi in modo drammatico, brutale. L’io non può più nulla infatti contro gli altri: «un solo sguardo/di altri». Il tutto vede un registro linguistico abbassato al reale, al quotidiano, e una struttura logico-sintattica deformata, tendente verso l’oralità.
L’ultima raccolta di Vittorio Sereni: «Stella variabile»
Nel 1981, Vittorio Sereni pubblicherà Stella variabile, una raccolta dove l’elemento della morte e dell’aldilà si unisce all’elemento arboreo, del mondo vegetale, che qui viene interpretato come una sorta di «brulichio delle cose che serpeggia ai margini del vuoto» (Testa 2005).
La natura parla, vive, ma allo stesso tempo richiama l’oblio, legandosi spesso al tema della morte, della fine per l’uomo. Tant’è che si viene proprio a creare un rapporto dialogico tra l’io e l’aldilà, che dà al poeta quasi un ruolo trascendentale. Difatti qui l’io poetico può mettere in contatto il mondo umano col mondo inumano in una evocazione dai tratti sciamanici. Ma l’io comunque continua ad avere semplicemente un ruolo di mediatore, di mezzo per queste evocazioni, e non ha mai un ruolo di vero soggetto della propria poesia, quasi identificando un congedo del poeta dal mondo.
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