Grande, maestosa e imponente, la Santa Sofia di Istanbul è forse il più famoso e iconico edificio quando si pensa ai fasti dell’antica Bisanzio prima, e Costantinopoli poi.
Affacciata sull’Augusteion, spazio rettangolare colonnato risalente già all’età severiana (II-III secolo d.C.), la Santa Sofia, o Aghia Sophia, risale già al 360; subisce una prima distruzione nel 404, probabilmente in relazione ai tumulti legati alla cacciata di Giovanni Crisostomo, ordita da Eudocia, moglie dell’imperatore Arcadio, viene ricostruita nel 415, per poi subire gravi danni nel 532 forse per la cosiddetta rivolta di Nika.
La basilica ritorna ai suoi fasti nel 537, come si legge nelle pagine del De Aedificiis di Procopio di Cesarea, che ne solennizza la riconsacrazione e ne fornisce una dettagliata ekphrasis, descrizione.
Elaborata a livello teorico da Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto, l’edificio presentava delle dimensioni critiche per le tecniche costruttive dell’epoca e in corso d’opera non furono poche le correzioni che permisero di contrastare le spinte verso l’esterno che provocarono, ad esempio, il crollo della cupola nel 558, ricostruita poi da Isidoro il Giovane.
Interessante è anche la narrazione di Paolo Silenziario, che fornisce una descrizione dei paramenti, degli elementi andati perduti e della liturgia, che spesso viene utilizzata come fonte relativamente all’incoronazione di Giustiniano (527-565) e della moglie Teodora.
Ricostruita da un certo Tiridate nel 989 e, molto più tardi, tra 1346 e 1354 da Giovanni Peralta, forse italiano, a causa di alcuni terremoti, la basilica presenta una particolare decorazione musiva, che ben rispecchia le esigenze programmatiche dei sovrani in carica. Ripercorriamole.
In una prima fase, la decorazione a mosaico era realizzata con tessere in oro su ampie campiture, e aveva come tema quello della croce e dei motivi floreali; la decorazione aniconica rispecchia le tendenze dell’imperatrice Teodora, e ha forse lo scopo di mantenere buoni contatti con le sette siriache ed egiziane, restie alle rappresentazioni figurative della divinità.
In epoca iconoclasta – ossia quel periodo che si estende dal 730 all’843, quando gli imperatori si battono, a vicende alterne, per eliminare il culto delle immagini, sia perché retaggio di una fase pagana della religiosità, sia per colpire i grandi monasteri, sempre più potenti grazie ai proventi dei pellegrini in visita proprio alle immagini sacre – alcuni medaglioni musivi raffiguranti santi vengono rimaneggiati fino a rappresentare, anche stavolta, delle croci.
Il periodo di splendore dei mosaici della Santa Sofia coincide col periodo post iconoclasta: dall’867 al 1356, la basilica si riempie di mosaici, a partire da quello del Cristo Pantocratore nella cupola centrale, fino ad arrivare ai magniloquenti angeli e alla maestosa Vergine del catino absidale, sicuramente dell’867 perché citati in un’omelia del patriarca Fozio.
Nelle nicchie su cui si impostano le campate nord e sud, poi, patriarchi e padri della chiesa: ne rimangono tre, ma una preziosa testimonianza è costituita dagli acquerelli di Gaspare e Giuseppe Fossati, architetti svizzeri chiamati dal sultano Abdul Mejid I (1839-61), che documentano la decorazione dell’edificio: bisogna supporre che tutti quei mosaici che compaiono nei disegni dei Fossati ma che non si trovano nella basilica siano – purtroppo – andati perduti.
Prevalgono le rappresentazioni degli imperatori, come nel pannello sopra il nartece, in posizione di grande spicco: l’imperatore Basilio (867-886) in atteggiamento di proskynesis, prostrazione, che venera le sante icone, col Cristo, la Vergine in trono e angeli in medaglioni. Alcuni vedono in questo imperatore Leone VI (886-912), che avendo contravvenuto alla legge sposandosi per quattro volte, tenterebbe così di ripristinare la propria figura.
Interessante è il caso del mosaico di Costantino IX (1042-1055) e della moglie Zoe, realizzato, o meglio, rimaneggiato certamente dopo il 1042, presenta dei volti armonizzati con lo scopo di “cancellare” i tratti di Romano III, primo sposo di Zoe, e di sostituirli con quelli del nuovo consorte.
Forse posteriore al 1261, quindi in seguito alla ripresa bizantina della città dopo la parentesi latina, è la cosiddetta Deesis della Santa Sofia: si tratta della rappresentazione del Cristo, affiancato dalla Vergine e da Giovanni Battista, che nel caso della Santa Sofia si trova nella galleria sud. Di dimensioni due volte più grandi del normale, le figure, realizzate con grande sapienza tramite tessere piccolissime, presentano una carica umana fortissima, che dialoga coi modelli classici quanto a monumentalità e solennità. Rimangono, in basso, alcuni frammenti “misteriosi”: si tratta forse del basamento del trono su cui siede il Cristo, e verso il quale si prostra un personaggio importante, che alcuni riconoscono come l’imperatore Michele VIII Paleologo (1259-1282).
Le ultimi propaggini musive della Santa Sofia risalgono probabilmente agli anni ’40 del 1300, quando Anna Paleologina, madre del giovane imperatore Giovanni V, fa ricostruire, insieme al figlio e all’usurpatore Giovanni VI Cantacuzeno, l’arcone est della basilica, crollato in un sisma. Grazie alle rappresentazioni dei Fossati si coglie che il tema dovesse essere quello dell’etimasia, il trono vuoto; doveva poi trovarsi una rappresentazione della Vergine, di Giovanni V e di una figura femminile, forse proprio Anna. Si tratta di un intervento di restauro perlopiù programmatico, effettuato in un periodo di grave crisi e sovversione politica: anche in un momento di profonda instabilità, l’arte non viene meno e l’imperatore, il punto di riferimento per la cittadinanza, si trova raffigurato in uno dei punti più visibili dell’edificio più noto e frequentato.
Divenuta moschea dopo la presa turca del 1453, è attualmente un museo, la Santa Sofia rimane uno dei luoghi più noti ed amati, nonché tappa imprescindibile e per amanti e studiosi di bizantinistica e per turisti.