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«Fair is foul, and foul is fair»: la vera storia dietro a Macbeth

Tra storia e leggenda, l'opera shakespeariana racconta l'ambizione sfrenata e le tragiche conseguenze del potere. Ma qual è la vera storia di Macbeth?

4 minuti di lettura

Quella di Macbeth è una delle tragedie più note e amate di William Shakespeare. Nota come Scottish play per la sua ambientazione nella Scozia medievale, il Bardo la scrisse tra 1606 e il 1607, ed è un concentrato di tensioni che l’umanità teme e brama da sempre: l’ambizione portata all’estremo, l’inganno e il tradimento, la fame di potere e la follia, l’omicidio e la stregoneria. I personaggi sono profondi e sfaccettati, capaci di evolversi insieme agli eventi e di far sentire il lettore (o meglio, lo spettatore) in mezzo a loro.

Nell’opera un conte valoroso, appunto Macbeth, si sente profetizzare un futuro glorioso da tre streghe. Fomentato dall’ambizione e dalla moglie, il protagonista uccide a tradimento re Duncan, buono e saggio, per prendere il suo posto. Ma da quel momento, uno alla volta, coloro che ammiravano l’abile guerriero gli voltano le spalle o cadono vittime delle sue macchinazioni, fino al tragico finale. Ma esiste una realtà storica dietro alla perversa storia di Macbeth? O si tratta solo di un prodotto della fantasia di Shakespeare?

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L’ispirazione per l’opera giunse a Shakespeare da uno dei testi più popolari del tempo, le Chronicles of England, Scotland and Ireland, scritte da Raphael Holinshed nel 1577. In queste cronache i fatti risultano effettivamente più aderenti alla realtà storica di quanto non lo siano nel capolavoro teatrale. Partiamo da chi si trova sul trono all’inizio della vicenda, e che diventa la vittima di Macbeth: re Duncan. Un uomo saggio, equilibrato e amato dai vassalli che cercheranno di fargli giustizia dopo che Macbeth l’avrà ucciso nel sonno durante una notte nel suo castello. Il vero re Duncan di Scozia (1034-1040) fu in realtà un sovrano giovane, attendista, debole e militarmente scarso, soprattutto se paragonato a Malcolm II, il suo predecessore.

“Macbeth seeing the ghost of Banquo” by Théodore Chassériau https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Banquo.jpg

In effetti Malcolm, nel corso del suo lungo regno (1005-1034), aveva unificato molti clan scozzesi sotto una singola corona e tenuto lontani gli Angli e i vichinghi – che compaiono anche nella tragedia shakespeariana, in cui combattono contro Duncan per rovesciarlo, aiutati dagli irlandesi e dai conti scozzesi traditori. Tra i suoi meriti, Malcolm era riuscito anche a raggiungere una situazione di equilibrio con Canuto il Grande, straordinario re di Inghilterra, Danimarca e Norvegia. Non dimentichiamo che erano i decenni di caos e intrighi dinastici che sarebbero culminati nell’arrivo del normanno Guglielmo il Conquistatore e nella sua ascesa al trono.

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Di tutt’altra pasta era appunto fatto il successore di Malcolm, Duncan, che dopo una disastrosa campagna militare in Northumbria venne sconfitto e ucciso in battaglia da un cugino che in gaelico si chiamava MacBethad mac Findláich, capoclan della provincia del Moray. Era il 1040. Perciò, a differenza della tragedia, il vero Macbeth uccise il predecessore in battaglia, onorevolmente, e non pugnalandolo nel suo letto con il favore delle tenebre. Il personaggio storico aveva inoltre il sostegno dei conti suoi pari, a differenza del personaggio della tragedia che è sostenuto (e fomentato) solo dalla moglie, altrettanto assetata di potere.

MacBethad è passato alla storia, quella vera, come un sovrano abile e forte, che regnava dal suo castello di Dusinane insieme alla moglie, la regina Gruoch. Ma il figlio di Duncan, Malcolm, era riuscito a salvarsi durante il cambio di potere, e dal 1046 iniziò a guidare alcuni tentativi di detronizzare MacBethad (che doveva in realtà sentirsi abbastanza al sicuro, dato che nel 1050 riuscì addirittura a compiere un pellegrinaggio a Roma, un grande prestigio per i sovrani nordeuropei del tempo). La sicurezza non era destinata però a durare: nel 1054 Malcolm e l’alleato conte Siward, presente anche nella tragedia, sconfissero MaBethad nei pressi di Dusinane, e il re fu costretto a cedere un’ampia porzione di territorio al figlio di Duncan. Tre anni dopo, in pieno agosto, Malcolm sconfisse di nuovo il re in battaglia e questa volta lo uccise, prendendo il suo posto sul trono di Scozia con il nome di Malcolm III (dopo un brevissimo interregno di Lulach, figlio di primo letto di Gruoch). Anche nel Macbeth teatrale il protagonista muore al termine di una battaglia, ucciso da Macduff, e il figlio di Duncan, Malcolm, può diventare legittimo re.

Il contesto in cui Shakespeare scrisse Macbeth merita uno sguardo. Re Giacomo I, protettore del drammaturgo, era scampato alla congiura delle polveri del 1605, quando un gruppo di cattolici (tra cui il celeberrimo Guy Fawkes) aveva tentato di far saltare in aria il re protestante con tutto il parlamento; il complotto fu scoperto e i congiurati impiccati. Come in una metafora, nel Macbeth il caos portato da un traditore incapace ed egoista si risolve con il trionfo della giustizia e dell’ordine divino.

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Ma perché proprio la Scozia? Quando Giacomo I divenne re d’Inghilterra era già il VI del suo nome nella linea dei re di Scozia. Il pubblico londinese si appassionò di colpo a tutto ciò che era scozzese, e il Bardo fu abile nel cogliere questo desiderio di “esotismo”, ambientando la sua vicenda proprio lassù. Shakespeare fece sicuramente leva anche sulla passione del suo re per la stregoneria e l’occulto, facendo sì che le tre streghe con le loro macchinazioni fossero personaggi non solo simbolici dell’opera, ma capaci di alterare il corso della vicenda. Nel 1597 Giacomo I aveva addirittura scritto un trattato di magia, astrologia e classificazione dei demoni, le Daemonologiae.

Come tutte le opere di Shakespeare, anche il Macbeth potrebbe essere esplorato in lungo e in largo, da esperti di discipline diversissime tra loro. Tutti vi troveranno elementi di riflessione, sintomo della straordinaria profondità di quest’opera. Anche volendo trascurare la bellezza linguistica e l’impatto drammatico di tutte le scene, chiunque viene catturato dalla raffinatezza delle dinamiche che legano i personaggi e dalla sensazione di essere sul palco con loro, in una storia di passioni immortali che sono radicate in noi da ben prima del Seicento e del Mille.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole, montagne e un po' di pace. Specializzato in storia economica e sociale del Medioevo, ho fatto un po' di lavori diversi ma la mia vita è l'insegnamento. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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