Waiting for the Barbarians chiude il concorso principale della 76^ Edizione del Festival del Cinema di Venezia, non riuscendo però a tener testa alle pellicole che lo hanno preceduto. Un cast stellare, tra cui Johnny Depp e Robert Pattinson, sono infatti lo specchietto dietro cui Ciro Guerra, regista colombiano, cela grandi propositi ed altrettante delusioni.
In un isolato avamposto di frontiera la pacata amministrazione del magistrato capo viene interrotta dall’arrivo del colonnello Joll (Johnny Depp). Gli spietati interrogatori condotti da questo sugli abitanti e nativi del deserto svelano però al Magistrato chi siano i veri barbari.
«Quando abbiamo incominciato a lavorare pensavo che la vicenda fosse ambientata in un mondo e in un’epoca lontani», ha dichiarato Ciro Guerra, regista del film, aggiungendo che «mentre le riprese del film procedevano, la distanza nel tempo e nello spazio si è ridotta sempre più». Ne dovrebbe dunque uscire un film sulla contemporaneità, ed effettivamente è difficile non notarne i legami nella figura grottesca del colonnello Joll e del suo assistenze interpretato da Robert Pattinson.
Violenti, cattivi e razzisti rappresentano una presunzione di superiorità tipica dell’uomo bianco giunto ai confini dei propri territori, ma anche un’incarnazione del potere che non giustifica mai le proprie azioni, né ai sottoposti, né a se stesso. Si oppone a questo però un personaggio velocemente condotto al limite dell’ascetico, una figura quasi mistica e francescana, capace di capire gli ultimi e di combattere i potenti. Il magistrato sembra così il meno tratto dalla realtà, il più sopra le righe, e dunque il meno credibile. Funge forse da topos della bontà, e in tal senso specchia l’atemporalità delle vicende. Se infatti lui stesso affermerà che «ogni generazione ha un attacco di isteria per i barbari», frase che inevitabilmente attiva un campanello d’allarme allo spettatore contemporaneo, alluderà in questo modo ad un’ugualmente perpetua ed inarrestabile presenza di oppositori. Il conflitto di civiltà, che vede qui nell’uomo di presunta civiltà il barbaro, ed il contrario, si manifesta dunque per figure chiave e simboliche, seppur questo causi una distanza impercorribile tra lo spettatore e gli eventi.
Incastrato in una retorica di cui non sviluppa gli obiettivi, Waiting for the barbarians conclude in gran velocità una storia mai davvero efficace. Giunti all’ora e mezza si inizia infatti ad assistere a un’ingiustificata accelerazione dello sviluppo, ed improvviso un singolo evento riesce a stravolgere l’intera direzione della pellicola causando una seria distorsione dei personaggi in causa.
Cattivoni al limite del villain prendono così forma nelle interpretazioni di Johnny Depp e Robert Pattinson, i quali soffrono principalmente per una scrittura priva di profondità. Lungi dal necessitare spiegazioni d’ogni sorta, Waiting For The Barbarians appare comunque in difetto di reali argomentazioni per la propria riflessione. La sua natura derivativa, che lo vede essere risultato della trasposizione dell’omonimo romanzo di M. Coetzee, non sembra dunque bastare per realizzare in immagini e in dialoghi quella che il suo regista annuncia come una storia sul qui ed ora, omettendo però la vacuità che lega quest’affermazione al film stesso.
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