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Venezia76. «Tutto il mio folle amore», il ritorno di Gabriele Salvatores

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3 minuti di lettura

Presa una pausa dai recenti esperimenti supereroistici de Il ragazzo invisibile, Gabriele Salvatores riavvolge il proprio stile per tornare ad un immaginario maggiormente intimo, dolce, efficace. È una cifra espressiva che il cinema italiano ha imparato ad apprezzare anche grazie al premio oscar di Mediterraneo, e che in Tutto il mio folle amore si cuce ad una storia dai temi classici, dai sentimenti facili, ma dal trasporto immediato.

Un road movie che risuona nella sala anche grazie alla splendida voce di Claudio Santamaria, il quale nella divertente parte de il Modugno della Dalmazia dona reinterpretazioni musicali che valgono da sole l’intera visione del film.

tutto il mio folle amore lo soffia il cielo

È dunque impossibile parlare della pellicola escludendone il comparto musicale. La colonna sonora, come da buon film on the road, è infatti vera e propria guida emotiva degli eventi proposti, riuscendo bene a specchiarne stereotipi o singolarità. Tra Modugno e Gary Jules siamo così condotti nella vita di Vincent (Giulio Pranno), ragazzo sedicenne affetto da autismo. «Now I understand what you tried to say to me…», è la canzone Vincent, di Don Mclean, ad avergli dato nome al ragazzo, la canzone che suo padre Willi (Claudio Santamaria) cantò alla madre Elena (Valeria Golino) prima di fuggire spaventato dalla gravidanza. Riappare però in una delle tante sere dettate dai deliri dell’alcool, chiedendo di conoscere il figlio e venendo cacciato dal nuovo compagno di Elena, Mario Topoi (Diego Abatantuono).

«…Vincent, this world was never meant 
For one as beautiful as you »

L’autismo non è però il tema della storia, ed è il suo stesso regista a mettere ben in chiaro che se avesse davvero voluto trattare con proprietà di linguaggio la malattia avrebbe di certo chiamato un team di esperti, cosa che evidentemente non è stata fatta. Nonostante questo i primi minuti di Tutto il mio folle amore sono comunque molto più efficaci di tante altre edulcorate trasposizioni della patologia. Urla e gesti inconsueti si sommano all’ottima fisicità di Giulio Pranno, il quale litiga con una Golino sfibrata sino al limite, seppur non sempre convincente. Quest’anomala normalità viene interrotta però dall’inaspettata decisione di Vincent: fuggire con il padre, rinominato per l’occasione Willipoi, verso la Croazia, seguendone piccoli concerti nell’est Europa. Da qui la storia di due coppie che fuggono o che inseguono, Elena e Mario in cerca del figlio fuggito, Vincent e Willi in cerca di un rapporto mai avuto. Entrambe destinate a scoprire qualcosa su di sé, ed in questo adiuvate dai suggestivi paesaggi di Croazia e Slovenia. Riprese secondo tutti i canoni del genere, ma rese esemplari dalle note di canzoni che narrano una storia parallela ed ugualmente emozionante.

Starry, starry night…

Liberamente tratto dal romanzo di Fulvio Ervas , «se ti abbraccio non aver paura», Tutto il mio folle amore è un’opera davvero coinvolgente quando riesce ad abbandonarsi al rapporto sincero tra Vincent e Willi, ossia alla recitazione di Giulio Pranno e Claudio Santamaria. L’autismo caratterizza infatti un’incomunicabilità che obbliga i due a trovare altre forme di partecipazione umana, scoprendo nella rispettiva istintività una chiave di sviluppo che più volte riesce a donare qualche sorriso compiaciuto. Ovvio che molte delle sensazione prodotte siano già sufficientemente introdotte dal soggetto alla base della storia, e dunque risultino facili, ma nonostante qualche banalità o semplificazione nello sviluppo, Salvatores riesce a creare ottimi momenti per giustificare tramite le immagini la continua commozione. Uno dei più straordinari dialoghi è ad esempio muto, inscenato in maniera per cui sia credibile ed emozionante l’improvvisa comunicazione tra padre e figlio.

Il rischio più grande è difatti quello di notare alcune storture nella figura di Vincent, la cui malattia viene a tratti depotenziata per permettere ad alcuni eventi di realizzarsi. È un gioco di elasticità del personaggio, a cui a volte si riesce a credere, soprattutto all’inizio, a volte meno, principalmente nel viaggio.

C’è dunque qualche tentennamento nell’integrità dei personaggi messi in scena da Salvatores, ma per fortuna non basta questo a rendere il film un crogiolo di banalità. L’occasione per stupirsi, o semplicemente commuoversi, non è sempre così scontata, e l’on the road trova giustizia tra i colori di campi lunghi attraversati da infiniti modi di camminare.

Se il tema sia esclusivamente a tema familiare, o più generalmente umano, e dunque esistenzialista, si decide principalmente tra l’alternarsi delle due coppie, le quali sono manifestazione stessa delle due anime del film. Starà forse allo spettatore pendere per una o per l’altra, seppur sia difficile non restare così ammaliati da Giulio Pranno e Claudio Santamaria da ritrovarsi disinteressati da tutto ciò che non li riguarda.

«Parole che quando le leggi stai bene» , è questo che il personaggio interpretato da Diego Abatantuono sostiene di cercare, e in un certo senso è questo che fornisce Tutto il mio folle amore al suo spettatore. Una sensazione di piacere, trasmessa con l’onestà di personaggi che muovono immagini curate, ma mai troppo patinate. Un ritorno per Salvatores ai temi di un’umanità vista in itinere, capace di rielaborare i propri mali esistenziali per spiccare il volo come quel calabrone il cui racconto apre il film:

La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso

Alessandro Cavaggioni

Appassionato di storie e parole. Amo il Cinema, da solo e in compagnia, amo il silenzio dopo una proiezione e la confusione di parole che esplode da lì a poche ore.
Un paio d'anni fa ho plasmato un altro me, "Il Paroliere matto". Una realtà di Caos in cui mi tuffo ogni qual volta io voglia esprimere qualcosa, sempre con più domande che risposte. Uno pseudonimo divenuto anche canale YouTube e pagina instagram.

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