Tanto più scroscianti si fanno gli applausi dei film in concorso alla 76^ edizione del Festival del cinema di Venezia, tanto più saltano all’occhio quelli che invece lasciano interdetti, abbandonati ad un silenzio che ne è il vero, indiscutibile, giudizio.
Accade così a No.7 Cherry Lane, prima opera d’animazione dell’artista cinese Yonfan e unico film del concorso diretto mediante questa tecnica.
Quando immagine e testo entrano in conflitto
Sullo sfondo dei tumultuosi cambiamenti economici degli anni ’60 di Hong Kong seguiamo le vicende di un tormentato triangolo amoroso. Ziming è lo studente universitario al centro di questo impasse, diviso tra Meiling, accattivante diciottenne, e la signora Yu, la dolce madre single della giovane. Il racconto tenta dunque di incrociare le due vicende, politica e amorosa, faticando però a tratteggiare con efficacia la profondità che Yonfan sembra agognare.
L’animazione è il primo elemento a posizionarsi in maniera avversa alla riuscita del film. Non tanto per il suo stile semplice, il quale è invero il risultato di un complessissimo processo di trasposizione dei personaggi in 3d a disegni 2d, ma più per il raccapricciante contrasto tra le immagini e i temi trattati. A differenza di altre grandi prove d’animazione – tendenzialmente giapponesi – capaci di accostare tematiche come la sessualità o la politica con una grazia che può lasciar credere addirittura in una superiorità dell’immagine animata, No.7 Cherry Lane scatena ilarità nel pubblico ogni qual volta tenti di risultare poetico. Lunghissimi Voice Over, spesso simili ad una lettura parola per parola della sceneggiatura, si riempiono di dettagli prossemici – «Zumir si avvicinò con passo lento» – o descrizioni – «lei era bellissima» – che lasciano cadere il tutto nel burlesco proprio quando viene certificata la distanza tra ciò che viene detto e quanto invece mostrato. Spesso non c’è nulla di lirico o suggestivo in quanto decantato, e non per un tentativo di dissonanza cognitiva, ma per un radicale problema di coinvolgimento nell’immagine animata. Così invece di assistere a un film volontariamente lento, se ne subisce uno accidentalmente rallentato.
Cinema e Letteratura in contrasto
Non interamente disastroso è però No.7 Cherry Lane. L’idea di traghettare il triangolo amoroso attraverso tappe scandite dai film usciti in sala riesce infatti a dar vita ad un rapporto con la realtà più efficace di quello con la bellicosa Hong Kong. Da Il Dottor Zivago a E dio creò la donna, il cinema è il vero collante di questa riflessione sull’amore e la rivoluzione. La sala è presentata come luogo privilegiato per trovare soluzioni e ricevere illuminazioni, a tal punto che Zumir scopre la realtà di Yu spiandone sorrisi e lacrime davanti allo schermo, mentre la figlia si nasconde dietro di esso per sorvegliare i due.
La settima arte viene accostata alla Letteratura, e le due fungono da riflesso delle donne di questo triangolo. Il cinema, quello bianco e nero, quello del nudo di Brigitte Bardot, è la madre, Yu. Profonda, sensibile e colma dei non detti tipici proprio di un cinema fatto di gesti loquaci come una sigaretta accesa nel bel mezzo di una conversazione. Meiling è invece la Letteratura, in un’inusuale giustapposizione del libro all’irrequietezza giovanile.
Nell’insieme stilistico guidato da Yonfan arrivano a non stupire queste alterazioni, soprattutto dopo che si fa chiaro l’interesse per realtà opposte e divergenti. La giovinezza e la maturità aprono questa ricerca, la quale prosegue in una ripresa attenta al suolo e al cielo, allo spirituale e al profano. Tutto riassunto nella più efficace e affascinante delle sequenze, un ballo in cui l’animazione trova finalmente un senso nel silenzio del Voice Over e nell’esplosione di colori in una danza futurista e scomposta.
Yonfan l’ha chiamata «desolazione di splendore» l’emozione a cui la sua prima forma animata dovrebbe supplire. Non sappiamo ovviamente se la produzione abbia effettivamente aiutato il regista a risolvere ed esprimere questo sentimento, ma possiamo però affermare che No.7 Cherry Lane è per lo spettatore molto più desolante che splendente.
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