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Venezia76. «Ema», una nuova generazione che vive a ritmo di danza

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In attesa delle riprese del prossimo True American, Pablo Larraín si presenta quest’anno in concorso alla 76^ Mostra del Cinema di Venezia con un film del tutto nuovo, come lui stesso dichiara, «un film che non ho mai fatto». Al centro della trama sono questa volta protagonisti gli esseri umani e le loro emozioni, non tanto attraverso i dialoghi e le battute ma attraverso la danza e il sensuale movimento del corpo a ritmo di un’inarrestabile e martellante musica contemporanea.

Ema però non è un film sulla danza ma un film che parla di uomini e di società per mezzo del linguaggio della danza, con coreografie mozzafiato curate dallo stesso regista e dal celebre coreografo Josè Vidal di Valparaíso.  

Ema: la trama

I protagonisti principali sono Gael García Bernal, per la terza volta con Larraín dopo No e Neruda e la debuttante Mariana Di Girolamo. Il primo, Gastón, veste i panni di un commediografo di una compagnia di ballo locale, la seconda, Ema, quelli di sua moglie, un’insegnante di 12 anni più giovane. La loro imprevedibile famiglia si disgrega quando l’adozione di un bambino finisce male.

La prima cosa che si può dire di Ema è che sia un film dal forte impatto visivo, colori e luci totalmente fuori contesto invadono il piano della narrazione, distraendo lo spettatore da uno scambio di battute ridondante e ridotte all’essenziale, sintomo, appunto, di una generazione che ha poco da dire ma tanto da dimostrare, messa ai margini dalla vecchia guardia e etichettata come “svogliata”, priva di “valori e senso del lavoro”.

É questo che succede a Ema all’inizio del film. Senza che noi ancora ne conosciamo le ragioni, Ema viene rimproverata da un’assistente sociale che aveva appoggiato l’adozione del loro bambino. Evidentemente la giovane coppia è stata considerata incapace di allevarlo e veniamo a conoscenza che il piccolo Polo, di cui sentiamo tanto parlare ma che vediamo solo nel finale, è stato riportato all’orfanotrofio.

Ritratto di una gioventù contemporanea

Larraín inizia con questo scandaloso e doloroso fatto l’odissea di una coppia improbabile e forse male assortita che non ha mai potuto avere un «bambino vero», in quanto l’uomo è sterile. Come definirli allora? Una famiglia? Una coppia? Ema e Gastón sono anime erranti che ci accompagnano nel loro mondo, una vita fatta di strada e che si accontenta con poco, che sfugge a ogni tipo di classificazione e che viene mal vista dalle istituzioni, come la scuola e il luogo di lavoro.

Tutto ciò che i ostri protagonisti hanno sono loro stessi, il loro amore, e la forte solidarietà che li lega. Oltre a essere innamorata di Gastón, Ema, inconfondibile stella del film, caratterizzata da una meraviglioso taglio di capelli maschile color biondo platino, può contare sul sostegno delle sue amiche, le sue confidenti, le sue compagne di avventura, le sue consigliere, madri, sorelle e compagne di un viaggio interiore alla ricerca della propria definizione sessuale.

Potremo definire Ema e le sue compagne un vero e proprio “branco” la cui intimità e confidenza non conosce limiti. Combattere insieme, spartirsi le prede e sostenersi in ogni avversità è il loro giuramento segreto.

La rivalsa delle donne di Larraín

È interessante, inoltre, notare la forte dominanza che il modo delle donne esercita su quello degli uomini. Il padre di Ema è totalmente assente, è morto molti anni fa e suo marito, anche se più grande di lei, è un eterno indeciso, un debole che scarica sempre la colpa sugli altri, un uomo incompiuto, e di conseguenza anche sessualmente sterile. La sterilità di Gastón è infatti sintomo della sua incapacità di vivere appieno la vita. Lui non è un ballerino, ma un coreografo che, come vediamo nei primi magnetici momenti di danza del film, osserva la danza solo da lontano. A differenza di Ema, non sa godere del trasporto che la danza regala al corpo. Si definisce un intellettuale, vive di tecnica e di puro pensiero, limitandosi a uno stile di danza ormai passato e che non concepisce nessuna apertura.

Ema e le altre alla ricerca della propria definizione personale e sessuale

Ingabbiata da un sistema che non la rispecchia, Ema decide di lasciare Gastón, si ribella alle sue regole e lascia la compagnia, sempre supportata dalle sue inseparabili compagne. È l’inizio di un silenzioso viaggio dentro se stessa che forse Ema non realizza o di cui non parla mai, perché, lo sappiamo, questa è una generazione che non ama parlare di sè.

La ricerca di un altro uomo però risulta fallimentare. Ema trascorre le notti con Aníbal con cui fa l’amore ma che non la eccita veramente. Allora, che cosa eccita Ema? Le sue amiche, scoprire il sesso con loro e ballare.

Ema infatti non parla tanto perché si esprime attraverso la danza. Le sue parole sono confuse e insignificanti, ma i suo passi decisi la rendono snodata e per questo irresistibile. La sinuosità del suo corpo, in totale sincronia con quelli delle sue compagne, è sintomo appunto di una generazione che i media attuali definiscono “fluida”, indeterminata, che ama esplorare nuove cose, alla ricerca della propria definizione come adulti e persone.

Ema non trova soddisfazione nel comune rapporto con un uomo, ma piuttosto in quell’universo saffico e avventuroso dove a ritmo di musica tutto è permesso. In una moderna Lesbo metropolitana, toccarsi, baciarsi e abbracciarsi sono infatti le tappe di una presa di coscienza della propria sessualità che unisce amore, attrazione e amicizia.

I giovani cileni e il rapporto con la città

Ciò che appare ancora più significativo non è solo la forte intesa tra i membri del “branco” di Ema, ma è anche lo stesso rapporto che il gruppo ha con la propria città. Secondo Larraín, la generazione di Ema vive la strada, se ne appropria con la sua energia vitale per tentare di ritagliarsi un proprio spazio nel mondo. La città di Valparaíso accompagna le nostre protagoniste accendendo le proprie luci e lampioni su queste anime impegnate in una vera quête personale e politica.

Per lo stesso forte legame che le connette con la città, Ema e le sue amiche decidono di lasciare lo sterile capannone in cui si allena la compagnia di Gastón per scendere letteralmente in strada e ballare reggaeton, il loro stile preferito. Le ballerine realizzano infatti che la danza non è fatta per essere vista, non ha nulla a che vedere con la tecnica o l’armonia. Come spiega una delle amiche più fidate di Ema, la danza è prima di tutto qualcosa che si fa per se stessi, per sentirsi vivi. É come il sesso, è brutale, istintiva e per questo animale, è fatta per eccitare e sentirsi eccitati, è una condizione indefinibile, uno stato di trance da cui è impossibile dissociarsi. Il ritmo martellante del reggaeton è come una droga per i giovani di Valparaíso, è un suono costante, uno stato di alienazione che ipnotizza e che fa dimenticare, almeno per alcuni istanti, i problemi e le preoccupazioni del mondo degli adulti.

Ema: paradigma della donna contemporanea

Catalizzatore della travolgente energia che pervade tutto il film è proprio Ema, volto androgino e occhi da ragazzina, che per lasciare una traccia di sè nella città dà addirittura fuoco a vie e quartieri. Il vandalismo è l’ultimo taboo da affrontare, un atto efferato che nasce dall’attrazione per la disobbedienza e dall’istinto di infrangere la regola.

Personaggio complesso e allo stesso tempo semplicissimo, il paradigma di Ema riunisce le paure e i dubbi di un’intera generazione, un temperamento artistico e creativo che subisce la pressione di una società diffidente e che per questo la rifiuta. Ema infatti non poteva che essere donna: madre, sorella, moglie, amica, lavoratrice e leader, Ema incarna il difficile ma avvincente futuro che attende le donne di oggi.

Destinazione: la vita adulta

In questa generazione nulla però dura per sempre. Gli stati d’animo di Ema sono solo transizioni necessarie al processo di liberazione personale e sessuale che sta vivendo. Nel finale infatti la sua vita sembra assumere dei tatti più definiti e maturi: la nostra protagonista trova la stabilità grazie un nuovo lavoro come insegnante di ballo in una scuola, e alla fine si ricongiunge con Gastón, l’unica persona di cui si è veramente innamorata, riuscendo a comporre un’unità famigliare tutta sua, grazie alla riadozione del piccolo Polo.

Valentina Cognini

Nata a Verona 24 anni fa, nostalgica e ancorata alle sue radici marchigiane, si è laureata in Conservazione dei beni culturali a Venezia. Tornata a Parigi per studiare Museologia all'Ecole du Louvre, si specializza in storia e conservazione del costume a New York. Fa la pace con il mondo quando va a cavallo e quando disquisisce con il suo cane.

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