Alberto Barbera, direttore artistico della 76^ edizione del festival del cinema di Venezia, l’aveva promesso: «quest’anno narrazioni e ricostruzioni storiche saranno protagoniste». E ciò sembra vero, ad osservare una serie di pellicole che sono in concorso e non si frenano dal contendere racconti storici in forma di documentario o di messa in scena. A dar inizio a queste sottili danze tra le pagine della Storia è così un massimo esponente del genere; Alex Gibney. Fuori concorso alla kermesse veneziana con il suo Citizen K, ritratto della Russia moderna, del suo Presidente e del suo più grande oppositore, Michail Khodorkovsky.
Alex Gibney
Alex Gibney è il figlio di un giornalista ed un appassionato studente di Cinema. Sembra questa la possibile fonte a cui demandare la capacità che il regista di Going Clear e premio oscar per Taxi to the Dark Side dimostra di possedere nel rendere il racconto del reale un’appassionante fiction per il grande schermo. La società appare nelle sue mani un film già scritto, che lui restringe nello schermo per mostrarne ambiguità, sfumature e controsensi. Nonostante sia facile accostare a lui un altro, notissimo, regista degli ultimi anni, Michael Moore, bisogna tenere ben a mente che quello che per il collega statunitense è terreno fertile per un riflesso partigiano del mondo, per Gibney è invece occasione per celare posizioni. Ecco perché figure duplici come Steve Jobs, tanto amato e tanto odiato, da lui narrato in Steve Jobs: the man in the machine, o dimensioni come Scientology, religione dalle molte ombre, sono per Gibney di indubitabile interesse. In queste zone liminari lui mette le radici di un cinema che inevitabilmente ora arriva a raccontarci la grande madre Russia, proprio in virtù di quello che definisce «il massimo momento di attenzione mondiale» mai vissuto da questa.
Michail Khodorkovsky come prospettiva
La prospettiva scelta dal regista vede il documentario partire da uno dei momenti più decisivi per la storia russa: il crollo dell’URSS. Da qui Gibney muove le fila di una narrazione che arriva a riscontrare nel passaggio dal comunismo a un (presunto) capitalismo le radici dell’ultima insuperata fase, il putinismo. «Qui si schiudono le uova del serpente!» per rubare l’espressione di un altro racconto di società in concorso alla 76^ edizione del Festival del Cinema di Venezia, Adults in the room di Costa-Gavras. Gibney non si accontenta però di sorvolare fatti storici ed evoluzioni, bensì dà forma narrativa ai protagonisti delle vicende. Come nell’intro di una Sit-com anni ’90 i nomi dei personaggi coinvolti appaiono in sovrimpressione, in un uso spettacolarizzante, e ironico, del testo. The Oligarcs, il circolo ristretto di uomini che negli anni ’90 fu capaci di approfittare del capitalismo da Far West, viene così dipinto con uno stile che ne sottolinea il surrealismo, quasi fosse tutta una farsa. C’è però la realtà storica in quelle immagini di repertorio, da cui Gibney ritaglia il punto d’osservazione: Michail Khodorkovsky, ex oligarca ed attuale oppositore di Vladimir Putin.
Le quaranta ore di intervista che Gibney taglia e monta nel suo avvincente documentario vedono proprio Khodorkovsky protagonista. Figura eccellente per quel gioco di sfumature che il regista va cercando.
Le complicazioni del potere
La prima parte, dedicata al racconto generale dei difficili anni ’90 russi, serve proprio a porre le basi storiche di ciò che poi Khodorkovsky rinarrerà secondo variata prospettiva. Se infatti questo si macchiò davvero di notevoli crimini, affatto comprovati, lo sappiamo proprio in virtù di quella prima fase del documentario, la quale muta poi nella narrazione dello scontro tra Khodorkovsky e Putin, la sua segregazione in Siberia e l’attuale attività di finanziamento delle organizzazioni anti-Putin. Le parole di questo controverso personaggio risuonano con valore differente a secondo di ciò che il documentario rivela man mano, dimostrando come l’interesse di Gibney non sia la glorificazione dell’individuo in lotta contro il potere putiniano, quanto invece la complicazione delle sue possibili interpretazioni. Khodorkovsky si rivela dunque una finestra d’eccezione sul mondo russo, sulla suo potere e, inevitabilmente, sul suo presidente.
Ne consegue un documentario affascinante, perfetta diapositiva dell’origine dell’efferata ideologia putiniana, e strumento interpretativo per uno dei suoi più dibattuti oppositori. Il tutto diretto affinché siano resi con profondità, ma intrattenimento, le pericolose incongruenze dell’ambizione al potere.
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