«Venezia sta sull’acqua e manda cattivo odore» cantava Francesco De Gregori in Miracolo a Venezia, ma, a vedere le immagini degli ultimi giorni, sembra che quel verso debba tristemente mutare in «Venezia sta sotto l’acqua». Il capoluogo della regione Veneto, infatti, è da alcuni giorni vittima di maree di portata straordinaria che hanno raggiunto anche picchi di 187 cm e che hanno severamente danneggiato attività commerciali, abitazioni private e luoghi di grande valore artistico. Un solo precedente nella storia moderna: l’Acquagranda del 1966.
Venezia il problema dell’acqua alta lo conosce bene. Ma a 53 anni dalle giornate devastanti del ’66, cosa si è fatto? Proviamo a fare il punto qui, ripercorrendo la storia e le vicissitudini intorno al MOSE, la Grande Opera che in questi giorni torna ad essere al centro del dibattito pubblico.
Dall’alluvione del ’66 all’idea del MOSE
Partiamo dal 1966: “acqua granda”, così si dice in veneziano, conosciuta meglio come Alluvione di Venezia del 4 novembre 1966. Il Paese, ieri come oggi, viene travolto dalle notizie dell’avvenimento metereologico fuori dal comune e dai grandi danni provocati dall’acqua in città: i politici di allora, come quelli di oggi, promettono, quindi, un serio piano di interventi per la salvaguardia della città, da qualche anno preda di orde di turisti. Si avvia quindi un lungo iter burocratico che porta nel 1975 alla creazione di un bando statale per l’appalto di una grande opera, che non ottiene però nessun progetto seriamente realizzabile ed efficace. Visto l’iniziale fallimento, i progetti vengono consegnati per la correzione e rielaborazione ad un comitato di esperti (il cosiddetto “Comitatone”) nel 1981. Sette anni dopo il comitato partorisce l’idea del celebre MOSE (acronimo di Modulo sperimentale elettromeccanico), una sorta di diga costituita da 78 piccole paratoie che possono alzarsi e riabbassarsi a comando, posizionate laddove la laguna sfocia in mare aperto, ovvero dove le maree arrivano per colpire Venezia. Le paratoie sono in grado di alzarsi costituendo delle barriere ed isolando la laguna dal mare aperto.
Il MOSE viene sperimentato tra il 1988 e il 1992 e nel 2003, nonostante le proteste del sindaco di Venezia Massimo Cacciari per via dell’impatto ambientale e paesaggistico. Tra gli applausi scroscianti, Silvio Berlusconi, allora Presidente del Consiglio, pose la prima pietra della Grande Opera pubblica. Al suo fianco il suo braccio destro in Veneto, Giancarlo Galan.
Le inchieste giudiziarie
I lavori proseguono senza sosta fino al 2013 sotto il controllo del Consorzio Venezia nuova, costituito da 4 aziende del settore. Nel 2009, però, erano iniziati i primi accertamenti sulle aziende, poiché si sospettava che una di questa avesse emesso fatture “gonfiate” per intascare soldi pubblici, poi depositati in conti all’estero.
I primi arresti arrivano nel 2013, iniziando da Piergiorgio Baita, Presidente di una delle 4 società del consorzio (la società “Ing. E. Mantovani Spa”). Successivamente si procede anche all’arresto di Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova. Grazie alle loro rivelazioni, si arriva a procedere all’arresto di altre 35 persone e all’indagine su altre 100.
Tra i fascicoli dei magistrati troviamo nomi come l’eurodeputata Lia Sartori (FI), l’assessore regionale Chisso (FI), il sindaco di Venezia Orsoni (Indipendente-centro sinistra), l’ex generale della Guardia di Finanza, Speziante, ma soprattutto il deputato, ex ministro dell’agricoltura e della cultura durante il governo Berlusconi III ed ex presidente della regione Veneto dal 1995 al 2010, Giancarlo Galan, proprio il braccio destro di Berlusconi, presente alla posa della prima pietra della grande opera. A Galan sarebbero contestati i reati di corruzione, concussione e riciclaggio. Secondo la procura del capoluogo veneto, l’ex ministro avrebbe percepito «uno stipendio di un milione di euro l’anno più altri due milioni una tantum per le autorizzazioni» necessarie all’opera.
I capi d’accusa più frequenti per gli altri imputati erano frode fiscale, finanziamento illecito ai partiti e corruzione.
La situazione attuale
Ad oggi il MOSE è ancora incompleto e quindi incapace di agire, come avrebbe dovuto fare, contro la marea record di questi giorni.
E proprio in questi giorni tornano a galla tutte le perplessità sull’opera, che dovrebbe essere completata entro il 2021 e per la quale sono ancora stanziati milioni di euro. Mentre in Inghilterra e Olanda opere simili, effettuate con minore spesa, sono già funzionanti, da noi invece il MOSE ha già dimostrato le sue fragilità – strutturali e materiali – che rischiano di comportare il malfunzionamento dell’intera opera.
Oggi Venezia è di nuovo sommersa da un’acqua alta che allaga i pianterreni con danni irreparabili anche nei luoghi simbolo della città, dai mosaici della basilica di S.Marco, ai manoscritti autografi di Vivaldi, arrivando a distruggere case, bar e negozi. I veneziani, armati di stivali e buona volontà, aspettano che la marea si abbassi per pulire la salsedine dai pavimenti e buttare via macchinari, materassi e merce di ogni genere con rassegnazione, in un’atmosfera surreale da set cinematografico, in una Venezia deserta e fragile. Le frotte di turisti (che la rendono spesso invivibile) e le grandi navi da crociera alle quali, nonostante le polemiche, non è ancora impedito il passaggio nel bacino di S. Marco, non ci sono più.
Leggi anche:
«La morte a Venezia », ovvero l’inconciliabilità tra apollineo e dionisiaco
E anche oggi, a distanza di anni dalla famosa Aquagranda del ’66, i politici fanno la loro passerella promettendo a destra e a manca: Berlusconi, Salvini, Conte, Casellati, Brugnaro (sindaco di Venezia), Zaia (presidente del Veneto) sono i primi nomi che ci vengono in mente.
Una storia italiana
Il caso del MOSE rappresenta alla perfezione una tipica storia italiana: una miscela di mezze verità su uno sfondo di bellezza straordinaria.
Sì, perché se da una parte abbiamo la bellezza incredibile di Venezia, Patrimonio dell’Umanità, che affoga lentamente sotto il peso di turisti, grandi navi da crociera e maree; dall’altra abbiamo la corruzione, la poca trasparenza, l’egocentrismo della classe politica, il profitto peggiore.
I giornali di tutto il mondo hanno fotografato Venezia in questi giorni, raccontando una parte della storia. Per noi, emblematica resterà la foto dell’aula consigliare, allagata dopo il voto contrario alle misure per il contrasto ai cambiamenti climatici.
Qualche giornalista è andato a parlare in questi giorni con coloro che erano finiti nell’occhio del ciclone dell’inchiesta, ma nessuno ha avuto la responsabilità di assumersi la colpa: hanno tutti accusato altri indagati o i giudici stessi perché, a parer loro, «hanno bloccato la realizzazione del MOSE con le loro indagini». A Venezia si spera ancora nel MOSE, forse con un pizzico d’illusione, pregando che entri in funzione il prima possibile, mettendo così fine a un dramma che colpisce con forza i cittadini veneti e gli Italiani tutti.
Cinquant’anni sono passati e troppo poco è cambiato per Venezia, che merita sicuramente più amore e più rispetto da parte della classe politica e dal mondo dell’imprenditoria. Chissà se, anche con l’acqua, letteralmente, alla gola, si continuerà a negare l’evidenza.
Andrea Potossi