Dopo l’acclamato Il Calamaro e la Balena, Noah Baumbach torna a parlare di famiglie che finiscono e di conflitti famigliari mai risolti con Marriage Story in concorso alla 76esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, film ambasciatore insieme a Laundromat dell’onnipotente piattaforma di cinema online Netflix.
Se il precedente Il Calamaro e la Balena osservava le dinamiche della separazione dal punto di vista di un bambino, Marriage Story ha forse uno sguardo più maturo. È prima di tutto uno spunto per raccontare quello che avviene tra nostre pareti domestiche, in quel semplice ma allo stesso tempo complesso sistema che è la famiglia.
La lotta per la custodia dei bambini, la perdita dell’intimità e della fiducia, una quotidianità che viene inevitabilmente a mancare sono le principali tematiche che Baumbach con raffinato e discreto sguardo racconta al suo pubblico. Il film probabilmente contiene anche qualche elemento autobiografico considerando che nel 2010 lo stesso regista ha divorziato dall’attrice Jennifer Jason Leigh dopo la nascita del loro unico figlio.
«Marriage Story»: la trama
Nel film, Charlie (Adam Driver, già protagonista in While we are young e Frances Ha) e Nicole (Scarlett Johansson, alla prima collaborazione con Baumbach) sono due artisti, lavorano nel mondo del teatro. Mentre il primo è un promettente regista che vede il suo futuro a New York, la seconda è un attrice che proviene dal cinema e che ha in programma di approdare a Los Angeles per lavorare a una nuova serie tv.
Nonostante il profondo rapporto che unisce i due protagonisti, il crollo del matrimonio sembra ormai inevitabile. Nicole ha preso la sua strada, ha lasciato il nido d’amore che condivideva a New York con Charlie. È tornata in California, dove era iniziata la sua carriera e dove vivono ancora la madre e la sorella a cui la protagonista è molto affezionata. Charlie, profondamente scosso dalla separazione, fa di tutto per proteggere l’ultimo affetto rimasto di questo matrimonio: il figlio di otto anni Henry.
Marriage Story racconta letteralmente la “storia di un matrimonio” a partire dalla sua fine, dal divorzio. Come dichiara lo stesso regista, è interessante notare che realizziamo l’importanza delle cose solo quando queste vengono a mancare, ovvero quando avvertiamo il vuoto dentro di noi.
Il film si apre con due filmati con sottofondo le voci narranti dei due protagonisti. “Quello che mi piace di Nicole” e “Quello che mi piace di Charlie” non sono solo gli incipit del film ma rappresentano un efficace espediente narrativo attraverso cui Baumbach ci proietta per pochi secondi nella quotidianità della giovane famiglia newyorchese. La decisione di realizzare due filmati distinti prefigura la futura rottura della coppia.
Los Angeles e New York: l’importanza delle ambientazioni
Come ci spiega il regista, le ambientazioni e gli spazi del film sono fondamentali per accompagnare il difficile percorso emotivo dei due protagonisti. L’inizio del film si concentra infatti sull’appartamento di New York, ovvero il “nido” dei due innamorati. La casa, vista come il luogo degli affetti e della condivisione, è in contrasto con la sterile stanza bianca del primo mediatore dove i due parlano fra di loro senza mai guardarsi negli occhi. È l’inizio della fine.
La separazione dei due protagonisti trasforma il film in un logorante “ping pong” tra Los Angeles e New York, tra la luce calda delle strade californiane e il trafficato labirinto di mattoni rossi e clacson. A New York infatti si prende la metro e “si cammina”, mentre a Los Angeles ci si muove principalmente in macchina, “si sta sempre seduti” come afferma il piccolo Henry. Tale peculiarità di Los Angeles, secondo la visione di Baumbach, dà vita a conversazioni surreali dove gli interlocutori non si guardano mai negli occhi e di cui possiamo scorgere gli sguardi solo attraverso finestrini e specchietti retrovisori.
Anche gli interni hanno un ruolo importante nel sottolineare la tensione che intercorre nei serrati e spesso emozionati dialoghi. Dalle luminose stanze su cui si staglia poi lo splendido profilo di Scarlett Johansson passiamo alle stanze grigie e prive di finestre in cui Adam Driver si trova rinchiuso. Lontano da New York e ormai orfano dell’unica forma di famiglia che lui abbia mai conosciuto, il giovane vaga per la maggior parte del tempo tra hotel, uffici, sale di attesa e abitacoli, tutti “non-luoghi” che definiscono uno sradicamento non solo da New York ma dalla rassicurante realtà affettiva che si era costruito.
Il motivo della separazione
Ma cosa ha portato a questa separazione? A dircelo è proprio Nicole, in lacrime di fronte allo spietato avvocato Nora. Charlie e Nicole sono due personalità opposte e forse un tempo complementari. Nicole è la più debole della coppia ed è lei che in confronto a Charlie si ritiene un’insicura, “una persona che non sa mai cosa vuole”. Nicole sente infatti che il matrimonio e la sua sincera stima per Charlie l’hanno privata della propria personalità. Per amore, dal cinema si è convertita al teatro e da Los Angeles si è dovuta trasferire a New York.
Quell’amore appassionato che Nicole prova per il marito l’hanno però fagocitata, trasformandola in una semplice ammiratrice di Charlie e riducendola a una delle attrici della sua compagnia teatrale, tanto che le decisioni e i gusti del marito sono diventati anche i suoi. Nel disperato tentativo di ritrovare se stessa, Nicole cerca di ricostruire e di riappropriarsi di quella “vita prima di Charlie” fatta di tv, cinema, famiglia e amicizie californiane. Secondo i personaggi che parteggiano per la giovane donna infatti Los Angeles è la città giusta per rinascere, è piena di quel cosiddetto “spazio” che permetterebbe a Nicole il tanto agognato “fazzoletto di terra e di speranza” che lei sognava di ritagliarsi per sé.
È Charlie allora l’egoista che ha messo il lavoro davanti al bene della famiglia o è Nicole l’eterna incontentabile che scappa da una vita coniugale che lei stessa aveva voluto?
«Marriage Story»: cosa resta dopo la fine di un matrimonio?
Non c’è una reale risposta a questa domanda. Tra primi piani e sequenze più ampie, Marriage Story analizza lo scontro di due personalità e l’emergere di numerose insicurezze con uno sguardo umano e benevolo, senza dimenticare il giusto spazio dedicato all’ironia e alla leggerezza.
Ma cosa resta del matrimonio dopo la separazione? Baumbach risponde a uno dei quesiti più difficili sul divorzio, ritornando proprio al principio del film, a quelle dichiarazioni di amore sincero e puro che i due avevamo messo su carta tempo fa e che si scambiano solo nel finale. Forse le cose sarebbero state diverse?
Da sempre ambasciatore del cinema indipendente, Baumbach si riconferma qui narratore romantico e malinconico di un romanzo di formazione che si unisce alla commedia e in alcuni tratti al musical. Dopo le Meyerowitz Stories, Marriage Story non è appunto che un’altra “story”, un quadro famigliare, un altro episodio di questa New York attraverso il buco della serratura.
Forse Marriage story rappresenta anche una nuova consacrazione per Baumbach, non solo da un punto di vista artistico, ma anche umano. Il regista newyorchese forse in questo film impara a vedere le cose diversamente, non più come un ragazzino che subisce la separazione ma come un adulto che la compie.
Come è stato per il giovane Walt in Il calamaro e la balena, Marriage Story rappresenta per Baumbach il momento giusto per affrontare la propria storia e imparare a raccontarla.
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