Basta un dettaglio per cambiare il contesto. Lo sapevano bene gli artisti, l’hanno sempre saputo, e lo sanno anche i comuni mortali, grazie all’arte che rende terreno ciò che è aulico e aulico ciò che è terreno.
Artisti calunniati per aver rappresentato un’iconografia leggermente diversa da quella tradizionale, si sono ritrovati a dover fuggire, a dover cambiare le loro opere o ad accettare che esse non venissero guardate dal pubblico (come La morte della vergine di Caravaggio).
Uno dei soggetti che più ha riscosso successo sono sempre state le divinità, da quelle cristiane a quelle pagane. L’arte è stata vista come strumento di celebrazione, di propaganda, di trasmissione di un mito, ma anche di gratitudine.
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C’è una divinità in particolare che è stata raffigurata in ogni forma e in ogni luogo, sin dalle antiche culture classiche: per alcuni è Venere, per altri Afrodite. Ma in qualsiasi modo la si voglia chiamare, rimane una delle divinità più antiche, protettrice dell’amore in tutte le sue forme, simbolo della bellezza, della forza dell’eros, infonde desiderio in ogni creatura che incontra.
Se per gli antichi greci Afrodite suscita l’innamoramento e protegge il matrimonio (motivo per il quale le vergini davano i loro voti a lei prima di convolare a nozze), per gli antichi romani rappresenta una forza generatrice e guardiana delle unioni coniugali.
Nel corso della storia dell’arte, la figura della dea è stata ripresa numerose volte, innalzata a ideale di bellezza (basti pensare a La nascita di Venere di Botticelli o alla omonima opera di Bouguereau). La sua fama è talmente diffusa che anche gli archeologi usarono il suo nome per identificare le piccole statuette della preistoria (addirittura i manufatti in pietra o in ceramica realizzati dai primi artisti dell’umanità sono proprio definiti «veneri preistoriche»).
Nell’iconografia tradizionale a Venere vengono attribuiti alcuni elementi, come le colombe, associate a lei come simbolo di purezza e amore. Un aneddoto illustra come le colombe fossero considerate sacre a Venere: si credeva che quando Saffo, la poetessa, lodava la dea Venere, invocasse le colombe affinché, attirate dal suo canto, scendessero a intorno a lei. Anche alcune piante sono sacre alla dea e quindi spesso rappresentate con lei, come la rosa, il mirto e il papavero.
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La venere di Urbino
Una carica erotica totalmente diversa la troviamo invece nella Venere di Urbino, considerato uno dei più grandi capolavori della storia dell’arte. Anche qui, la dea è distesa su un lenzuolo bianco, si appoggia su due cuscini che però sono bianchi e si copre con la mano sinistra il pube. Ma c’è un particolare, non trascurabile, che rende il dipinto estremamente erotico: la Venere guarda dritto negli occhi dello spettatore, in una posa che indica pudore, ma uno sguardo che allude a un invito. Gli occhi della dea interpellano colui che la guarda, lo stuzzicano, lo provocano. È nuda, ma la sua nudità è diversa da quella di qualsiasi altra Venere. Perché un conto è essere nudi con il corpo, un conto è esserlo anche con gli occhi.
Questo dipinto ha suscitato adorazione, ma anche scandalo. Il primo proprietario dell’opera descrisse la figura come la donna ignuda più bella mai vista, ma nell’Ottocento lo scrittore statunitense Mark Twain parla di questo quadro come il più indecente, vile e osceno che il mondo possiede. Per lui non era tanto il fatto che fosse nuda, o il modo in cui era distesa sul letto, ma il suo atteggiamento. Twain dice, nel suo testo Vagabondo in Italia, di aver visto giovani ragazze rivolgere sguardi ammirati alla Venere, ma anche uomini di tutte le età totalmente assorti da quella visione. Il loro interesse era, a detta sua, patetico. Aggiunge inoltre di essere ben consapevole del fatto che esistono numerosi ritratti di donne nude, ma ciò che vuole contestare non è la nudità, bensì lo sguardo provocante.
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L’eros non è nel corpo, ma in ciò che con esso si fa
Ma se nemmeno a Venere è dato guardarci, se nemmeno alla dea dell’amore è permesso esibire un po’ di erotismo, come possiamo noi sentirci autorizzati a mostrarlo?
Il confronto tra questi due dipinti dimostra che non è la nudità a destabilizzare, non è il corpo a provocare. Migliaia di artisti hanno ritratto donne nude, dalla scultura classica all’arte contemporanea, senza però creare scandalo.
Perché non è mai il corpo, ma ciò che con il corpo si fa.
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