L’idea che l’immagine sia fatta di corpo, di sostanza, e che ci sia tra iconico e illessicale, tra puramente visuale e fortemente corporeo, un legame inestricabile è un pilastro narrativo della mitologia e della civiltà classica. Il soggetto forse più rappresentativo dell’immagine come perfezionamento e idealizzazione spirituale del mondo fisico è quello di Venere, dea dell’amore, della bellezza, della fertilità. Nell’iconografia classica della Venere Anadiomene (“nascente”) si coniugano la dimensione più eterea, che la vede, splendida, apparire sulle spiagge di Cipro da una conchiglia, e quella fortemente iconica e materica, dove la donna-dea si presta ai gesti più umani per ripulirsi da ciò che è al tempo stesso scarto e origine.
Iconografia omerica ed edipica nella Venere di Tiziano
Un celeberrimo esempio in cui è possibile ammirare, in una compostezza classica e in una composizione essenziale, le due grandi ipotesi mitologiche sulla nascita di Venere è la Venere Anadiomene di Tiziano (National Gallery of Scotland, 1520).
In questo dipinto l’artista riesce a coniugare la versione omerica del mito (che ha riscosso particolare successo nell’arte classica e in quella rinascimentale), secondo la quale Venere, figlia di Giove, nasce da una conchiglia emersa magicamente in mezzo al mare, e quella esiodea, dove Venere, figlia di Urano e Gea, nasce da un gesto di vendetta compiuto da Saturno, figlio di Urano, per vendicare la prepotenza maschile del padre.
In questa seconda versione Venere, l’incarnazione visuale della bellezza classica, bellezza profondamente iconica, nasce da una schiuma fatta di sangue, sperma e scorie (la schiuma è il rifiuto, quel fenomeno di scarto e pura fisicità che nasce dal rimescolio delle acque), caduti rovinosamente nel mare a seguito della castrazione di Urano per opera del figlio Saturno. Il paradosso sta proprio nel fatto che l’immagine della bellezza per antonomasia nasca da questo intruglio di secrezioni corporee, generatosi a seguito di un gesto violento.
Nel quadro di Tiziano le due iconografie vengono proposte insieme: è presente la conchiglia, che richiama l’ipotesi omerica, ma c’è anche il gesto delicato della Venere Anadiomene di strizzarsi i capelli, facendo tornare in acqua la schiuma da cui è stata generata.
Tiziano concentra la sua attenzione quasi esclusivamente sulla figura della dea, completamente nuda, che offre, senza filtri, la sua completa e perlacea fisicità in una posa da statuaria classica, con il corpo in leggera torsione e lo sguardo volto a sinistra. Una fisicità talmente concreta e tangibile, da far pensare che Tiziano, nel dipingere la sua Venere, si sia ispirato a una donna vera.
«Venere Anadiomene» e nascita dell’arte
Il mito della nascita di Venere è associato, nella tradizione greca e poi latina, con Plinio il Vecchio, anche alla nascita dell’arte: è con lei che nascono la bellezza e la bellezza rappresentata, cioè l’arte. Secondo la tradizione antica, l’origine dell’arte viene fatta risalire ad un quadro celeberrimo: l’Afrodite di Kos di Apelle. Nella sua Naturalis Historia, Plinio il Vecchio illustra la genesi di questo dipinto mitico (che nessuno ha mai visto) come il punto di origine dell’arte e suo momento di massima espressione. Le descrizioni offerte di questo quadro fanno leva tutte sull’elemento materico della schiuma, percepibile a livello tattile nella pittura stessa, riprodotta in maniera fortemente realistica.
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La pittura viene quindi concepita non come gesto mimetico di rappresentazione, ma come una ripetizione, una riproduzione dell’effetto: la pittura diventa la materia stessa che sostituisce la schiuma da cui nasce Venere. La posizione di chi sostiene l’idea della nascita della pittura come impulso rappresentativo viene qui fortemente contestata: la pittura non è fatta per rappresentare l’essenza di un oggetto non visibile, ma per riprodurre un effetto di superficie, puramente corporeo.
La fortuna mitica di questo quadro sopravvive nei secoli e si cristallizza nell’iconografia di Venere che si strizza i capelli e mostra la materialità della schiuma in modo più o meno evidente. Nel caso di Tiziano l’effetto è reso in maniera aggraziata, con una pennellata più densa attorno all’area dei capelli. Nella Venere Anadiomene di Jean Auguste Dominique Ingres (1808-1848) l’attenzione si concentra invece sulla densità e sull’aspetto materico della schiuma, nuvola di lana che fa da basamento alla manifestazione della figura della dea.
L’idealizzazione del bello, cioè l’idea che le buone immagini siano sempre separate dalla dimensione del corpo e della pura fisicità, è in realtà un processo arbitrario che si innesta su una tradizione che voleva Venere, dea della bellezza fisica e rappresentata (l’arte), nascere proprio dalla carne, anzi, dal rifiuto della carne (le secrezioni corporee).
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