«È un racconto… il racconto di un uomo, e di un mostro!». Così esordisce il caleidoscopico Clopin nel celebre film d’animazione Disney «Il Gobbo di Notre Dame». Il racconto in questione è quello del povero Quasimodo, il campanaro gobbo che abita nel campanile della cattedrale parigina, e delle sue disavventure. Ma, se estirpiamo questa frase dalla sua posizione all’interno di una canzone per bambini, ci renderemo conto che il suo significato è molto più ampio e profondo.
Infatti, se collocata in ambito letterario, essa si presenta come una vera e propria “summa” della poetica del grande Victor Hugo. Autore eclettico, considerato il padre del Romanticismo francese, è soprattutto padre di alcune delle storie più amate di sempre: « Notre Dame de Paris» e «I Miserabili».
Molti sono i temi trattati nelle opere di Victor Hugo, ma uno in particolare si pone come centrale nella sua poetica: il tema del mostro. Con il termine mostro si è naturalmente portati a pensare a figure storpiate, descrizioni grottesche, esseri orribili e deformati. Ma questo non vale per Hugo. Attraverso la lettura dei suoi romanzi si inizia a concepire il “mostro” come un concetto scevro da qualsiasi limitazione o deformazione fisica: il mostro è nell’anima, non nel corpo.
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«Notre Dame de Paris» analisi
Il titolo in sé è un punto fondamentale per la comprensione dell’opera. A differenza del cartone animato, il gobbo non viene affatto menzionato: non è lui il protagonista della storia. La sola e unica protagonista è Lei, Notre Dame. L’unica e sola Dama di Parigi, che dalle screziature delle sue vetrate è testimone silenziosa della vita del suo popolo. Ed è lei che fa emergere la mostruosità della storia, è il suo occhio immacolato e puro che vede il marcio nel cuore della città. Lei è il rifugio degli ultimi, dei mostri della società.
Fra le sue mura vive Quasimodo, un uomo fisicamente orrendo, gobbo, zoppo, muto e reso sordo dal frastuono delle campane, ma di animo buono e gentile. In lui troviamo la prima distorsione della mostruosità. A causa del suo aspetto fisico viene emarginato, evitato e sottomesso. La sua bruttezza esteriore trova un risvolto nella sua bellezza interiore. Egli è infatti un uomo buono, devoto e fedele, in grado di amare profondamente.
Gli altri mostri di Victor Hugo
Al suo fianco troviamo la bella zingara Esmeralda, che con le sue danze suscitata l’amore e il desiderio in più di un personaggio; anch’essa è un mostro, una gitana, straniera e ultima fra gli ultimi della società. Ad ardere di passione per lei saranno l’Arcidiacono Claude Frollo, tutore di Quasimodo, e il capitano delle guardie Phoebus. Questi, nonostante la sua luminosa bellezza, si rivela un personaggio meschino ed egoista. Questi due personaggi rappresentano il mostro più oscuro e pericoloso, quello che si nasconde dietro le apparenze, e che dietro la sua sfavillante corazza rivela un’anima nera. Frollo e Phoebus sono, agli occhi dei concittadini, simbolo di moralità, virtù e coraggio, quando in realtà sono due uomini incapaci di amare, alla ricerca del piacere, indifferenti alle sofferenze e alle disgrazie del prossimo.
«I Miserabili» analisi
Anche qui la scelta del titolo è fondamentale. I miserabili sono i reietti, gli esclusi, gli indegni, sono quella realtà che il mondo non considera. Sono persone come Jean Valjean, Fantine e la piccola Cosette.
Valjean è uno dei tanti poveri che si ritrova in prigione per aver rubato un pezzo di pane, un galeotto che tutti respingono ma che grazie ad un gesto caritatevole trova la forza di andare avanti e fare del bene. Diventato sindaco di una modesta cittadina , aiuterà una giovane operaia, Fantine, ragazza madre che per provvedere alla sua bambina, Cosette, venderà i suoi capelli, i suoi denti e infine il suo corpo. Nonostante le cure e le attenzioni di Valjean, Fantine morirà con una richiesta sulle labbra: trovare qualcuno che si prenda cura della sua bambina. E sarà proprio Valjean a prenderla con sé, a crescerla e darle un’istruzione e a farle da padre.
Questi personaggi sono mostri agli occhi del mondo, ma non a quelli di Victor Hugo. Lui li guarda con compassione e tenerezza, mentre denigra personaggi come i Thénardier, gli avidi e malvagi tutori di Cosette; l’ispettore Javert, che dedica gli ultimi anni della sua vita a dare la caccia a Jean Valjean.
«L’uomo che ride» analisi
Ultimo fra i mostri di Hugo, troviamo Gwynplaine de «L’uomo che ride». In questo caso Gwynplaine è il vero protagonista del racconto, è l’uomo perennemente costretto a ridere a causa di una deformità del viso, che costringe la bocca in un ghigno sorridente.
Fenomeno da baraccone, considerato dal pubblico per cui si esibisce come uno scherzo della natura, Gwynplaine vive con Ursus, l’uomo che lo accolse da piccolo quando era stato abbandonato, e Dea, una giovane fanciulla cieca. Lo stesso Gwynplaine l’aveva salvata da neonata. Per uno strano scherzo del destino, il giovane conoscerà la nobile Josiane, sorellastra della regina d’Inghilterra, che si invaghirà follemente di lui e mediante la quale Gwynplaine scoprirà di essere un nobile, figlio di un pari d’Inghilterra. Ma ben presto il lusso e gli agi che tanto lo avevano colpito all’inizio, inizieranno a disgustarlo profondamente, e fuggirà da quella nobiltà che tanto decanta valori e virtù, ma che è in realtà vuota e superficiale.
I veri mostri di Victor Hugo
Ecco quindi i mostri di Victor Hugo… non Quasimodo, Valjean o Gwynplaine, ma apparenza, pregiudizio ed indifferenza: i mostri che logorano la società, che emarginano il diverso. In questo sta la grandezza di Hugo, poiché ha parlato per gli ultimi e li ha nobilitati attraverso gesti di amore. Non la grandezza e lo sfarzo, ma la povertà e gli stenti, il dolore e la miseria sono i protagonisti indiscussi della sua opera che ancora oggi attrae irrimediabilmente il pubblico di tutte le età. E ancora una volta, la creatività disneyana ha colto nel segno.
Rifacendomi al personaggio di Clopin, vi lascio con una domanda: « Ecco un quesito, scoprite chi è il vero mostro a Notre Dame, chi è brutto dentro, o chi è brutto a veder?»
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