Una discesa nel Maelström è un breve “racconto del terrore” scritto da Edgar Allan Poe nel 1833 e pubblicato nel 1841. È considerato uno dei suoi testi più intensi ed originali, nonché un chiaro esempio della fusione dell’orrido con la bellezza, della riflessione sul senso del tempo e sulla potenza distruttrice della natura, tipiche della sua narrativa.
L’autore del terrore
Edgar Allan Poe (Boston 1809 – Baltimora 1849), è stato principalmente scrittore, poeta e critico letterario. Cronologicamente si situa nel contesto del Romanticismo. Svariate caratteristiche del suo stile, come il gusto per il sovrannaturale, l’introspezione, l’attenzione per l’oscurità dell’animo umano, ne fanno uno dei maggiori esponenti a livello mondiale. Allo stesso tempo, parte della sua poetica porta a collocarlo anche all’origine del Simbolismo come precursore del Decadentismo.
Nel corso della breve vita di Poe, Una discesa nel Maelström è rimasta ignorata dai critici letterari suoi compatrioti e solo parte della sua poesia è approdata in Europa grazie alle traduzioni del poeta Stéphane Mallarmé. Molto più tardi raggiungerà il successo anche in America, lasciando la sua traccia più indelebile nell’ambito del romanzo e del racconto, che ha fatto di lui uno dei più grandi scrittori del terrore di tutti i tempi. Molti dei suoi lavori sono generalmente considerati una reazione letteraria al trascendentalismo di Ralph Waldo Emerson, movimento che Poe ridicolizzava, preferendo suggestioni provenienti ad esempio dal romanzo gotico. Tuttavia, l’opera di Poe tende a svincolarsi dai cliché di questo genere per svilupparsi in senso più psicologico e metafisico.
Leggi anche:
L’orrore nell’arte: cinque dipinti davvero da incubo
«Una discesa nel Maelström»: la discesa e l’abisso
Il Maelström è un fenomeno marino vorticoso, causato dalla marea lungo la costa atlantica della Norvegia, nei pressi delle isole Lofoten. Più volte al giorno, ad intervalli regolari, il flusso bidirezionale delle acque scorre in uno stretto poco profondo, generando una corrente molto forte, con flutti e vortici che rendono pericolosa la navigazione. Nel racconto di Poe, tre fratelli pescatori norvegesi vengono sorpresi da una violenta tempesta e la loro imbarcazione viene trascinata dalle forze del mare nei pressi del gorgo nel suo intervallo di attività.
Solo uno dei tre fratelli riuscirà a salvarsi dal risucchio del Maelström, individuando quella sorta di “legge scientifica” che seguono gli oggetti che vorticano in acqua intorno a lui. Il superstite, seppur irriconoscibile, verrà recuperato da un gruppo di pescatori e sarà in grado di raccontare al narratore la sua terribile avventura nonostante questa lo abbia trasformato profondamente nel fisico e nello spirito. Egli ha forse fatto esperienza dall’abisso troppo a lungo, al punto che l’abisso ha iniziato a «scrutare dentro di lui», come ipotizzava Friedrich Nietzsche.
Coloro che mi issarono a bordo erano i miei vecchi compagni di tutti i giorni, ma non mi riconobbero più di quanto avrebbero riconosciuto un viaggiatore di ritorno dal mondo degli spettri: i miei capelli, che solo il giorno innanzi erano neri come ala di corvo, erano divenuti bianchi come li vedete ora. Dicono che anche l’espressione del mio volto era mutata.
Senso del tempo e bellezza in «Una discesa nel Maelström» di Edgar Allan Poe
Una discesa nel Maelström è un testo strettamente connesso al senso del tempo, che coinvolge personalmente anche Poe, ossessionato dagli orologi. Le isole che compongono l’arcipelago, ad esempio, sono dodici, disposte a cerchio a formare il quadrante di un orologio, ma ancora più emblematica è la trasfigurazione vera e propria che investe il protagonista alla fine del racconto, attraverso la quale si fa chiaro come il senso del tempo sia cambiato. Per non parlare della scena collocata verso la metà del racconto, nel corso della quale il protagonista scopre perché l’imbarcazione si è imbattuta nel Maelström: «tirai l’orologio all’occhiello. Non camminava. Alla luce della luna fissai il quadrante e scoppiando in singhiozzi lo gettai nell’oceano. L’orologio si era fermato alle sette! Avevamo lasciato passare la tregua della marea e il turbine dello Strom era in tutto il suo furore!».
Tutti i racconti di Edgar Allan Poe sono connotati da una forte inquietudine, che viene però analizzata con freddo distacco, anche nelle situazioni più drammatiche e disperate. Il protagonista sembra riuscire perfino a cogliere la dimensione estetica di quell’immenso vortice d’acqua che si avvolge su sé stesso, a coglierne lo spirito dell’orrido che non è altro che una particolare declinazione del sublime. Terrore e bellezza si fondono nell’incubo di essere sepolto vivo nelle acque dell’oceano, raccontato con straordinaria raffinatezza:
Non potrò mai dimenticare il senso di terrore arcano, di orrore, di meraviglia che mi afferrò non appena volsi lo sguardo a contemplare lo spettacolo che mi circondava. La barca sembrava sospesa a mezzavia, come per opera d’incantesimo, sulla superficie interna di un imbuto immenso di circonferenza, prodigioso di profondità […], giù, sin entro i più riposti recessi dell’abisso.
Le leggi della Natura tra scienza e filosofia
Una delle caratteristiche più inquietanti del racconto è senz’altro la lucidità e la “scientificità” che la poetica di Poe riflette nella mente dei suoi personaggi, soprattutto nei momenti di maggior pericolo. Ne è esempio l’attimo in cui il protagonista, che appare assurdamente curioso nei confronti di quel vortice che lo sta inghiottendo, capisce la legge che regola la caduta dei corpi nel vortice. Poe sembra alludere qui rispettivamente alle riflessioni sul moto dei corpi di Aristotele e Galileo Galilei, ed al cilindro di Anassimandro:
«Feci anche tre osservazioni importanti: la prima che di regola generale, quanto più grossi erano i corpi, tanto più rapida era la loro discesa; la seconda che, di due corpi di uguale grandezza l’uno sferico e l’altro di qualsiasi altra forma, lo sferico acquistava superiore velocità nella discesa; la terza che di due corpi di uguale grandezza, l’uno cilindrico e l’altro di qualsiasi altra forma, era inghiottito più lentamente il cilindrico».
Sono queste osservazioni a salvare il protagonista, che comprende di dover partecipare alla tempesta e al vortice, accettando il suo movimento di caduta, per poter sopravvivere. Pare che per Poe, nella lotta contro la Natura, vinca chi riesce a conoscerne le leggi e ad abbandonarsi ad esse, senza provare a cambiarle, come tenta di fare il fratello minore poco prima di morire, aggrappandosi all’albero dell’imbarcazione, troppo rigido per sostenere il dinamismo del vortice, e senza tentare di fuggirvi, come fa il fratello maggiore.
Prima del racconto, Poe inserisce una citazione del pastore e filosofo inglese Joseph Glanvill, che ci introduce fin dall’inizio nella riflessione sulla potenza inquietante e distruttiva della natura, la cui manifestazione diventa indescrivibile.
Io non riuscivo a distinguere nulla a cagione di una fitta nebbia che avvolgeva le cose, sulla quale era sospeso un magnifico arcobaleno, simile a quel ponte stretto e pericolante che, secondo i musulmani, costituisce l’unico passaggio fra il Tempo e l’Eternità. […] ma l’urlo che da quella nebbia saliva al cielo non ardisco a provarmi a descriverlo.
È proprio alla natura, infatti, che Edgar Allan Poe cerca di tornare per raggiungere uno stato di vita più puro, lontano dalle influenze negative della città e della società, che egli percepisce come forze corruttrici. Per l’autore, la ferocia dell’uomo non proviene dal contatto con la natura selvaggia, ma piuttosto dall’assenza di questa. Con questo racconto egli cercava di dimostrare come l’idea del diciannovesimo secolo, secondo la quale gli esseri umani possono avere pieno controllo e dominio della natura attraverso la ragione e la scienza, non poteva che rivelarsi un’illusione.
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!
Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!
Sono arrivato al tuo scritto per decifrare un post di un’amica (foto con un primo piano di lei ed un amico) che dice “Nella marea di parole che ti hanno salutato, io ho voluto tributarti il silenzio. Perché non c’è niente da dire quando siamo fatti a pezzi da un maelstrom.
Enjoy the silence, amico mio. Fratello mio. Amore mio.”
Grazie a te Arianna ho compreso l’entità dell’ombra che porta sul cuore.