«Ucciderò lei, Padre»: questa è una delle prime frasi pronunciate dal misterioso e futuro assassino di Padre James Lavelle, il parroco di una piccola cittadina sulla costa irlandese. Si tratta del film Calvario (Calvary), diretto da John Michael McDonagh, presentato nelle sale inglesi nel 2014 e da giovedì 14 maggio nei cinema italiani.
La scena iniziale si svolge in un confessionale. È un primo piano del sacerdote (Brandan Gleeson) che, tra le luci soffuse della chiesa, ascolta le minacce di un uomo che cerca vendetta. Non vediamo il suo volto, conosciamo solo la sua voce che, sofferente ma sicura, ci racconta le violenze subite da bambino da parte di un uomo di fede, un uomo proprio come Padre James. «Ho provato il seme per la prima volta a sette anni», esordisce l’uomo, preannunciando i toni diretti e spesso cruenti del film. Il pensiero del bambino– ormai cresciuto, senza però dimenticare– è molto semplice: a che serve vendicarsi sul diretto interessato, tra l’altro morto da anni? L’uomo vuole che sia un prete innocente a perdere la vita per gli errori del collega. Così, l’inizio del film è a bruciapelo, lo spettatore entra immediatamente nel pieno dell’azione e, per un’ora e mezza, rimarrà con il costante dubbio: il prete verrà davvero ucciso oppure no? Il presunto assassino– che il sacerdote conosce, ma che noi vedremo solo nel finale- si congeda dando appuntamento a James la domenica successiva alla spiaggia, dove potrà finalmente farsi giustizia.
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Da qui in poi, lo spettatore segue i sette giorni che separano Padre James dalla sua (incerta) morte. Il conto alla rovescia è veloce, il sacerdote ha pochi giorni per riflettere sulle incredibili minacce nel confessionale, per riordinare la sua vita e fare del bene. Tuttavia, il paesino in cui vive non offre molte opportunità. Giorno dopo giorno, seguendo un ritmo scandito e incalzante, il prete incontra gli abitanti della città e si ritrova faccia a faccia con le loro problematiche. Nessuno di loro sembra essere in grado di salvarsi dal peccato. Incontra una donna che tradisce il marito con più uomini; i traffici di cocaina nei bagni di un locale; un medico (dal poco tatto) che vorrebbe flirtare con una donna rimasta vedova da poche ore; un poliziotto e il suo volgare amante a pagamento; un assassino in prigione che ride delle sue vittime pur dichiarandosi pentito; un uomo che, sentendosi solo, vorrebbe suicidarsi o entrare a far parte dell’esercito per provare a uccidere un uomo. Nemmeno i preti – eccetto padre James– riescono a salvarsi. Alcuni affrontano le confessioni come puro gossip, spifferando qua e là le problematiche altrui; altri ascoltano la storia di Padre James mangiando incuranti un dolce. Il paese sembra invaso non solo dal peccato nel senso cristiano del termine, ma anche da una scarsa voglia di vivere, da una forte indifferenza nei confronti della propria esistenza. La figlia del prete (Kelly Reilly) avuta prima dei suoi voti, è la prima a tentare il suicidio, senza avere però successo. Eppure nessuno di questi insoliti, ma in fondo banali, personaggi ci appare mostruoso; al contrario, la sensazione creata è un forte senso di pena e d’impotenza davanti ai mali del mondo.
L’unico personaggio positivo che lo spettatore incontra, l’unico che può catturare la sua stima, è proprio il protagonista, ed è di certo un prete fuori dalle righe. Il suo linguaggio è schietto e sfiora spesso il volgare, beve più pinte del dovuto e cerca in ogni modo di stare vicino ai cittadini e alla depressione che pervade la città. La sua non appare come una missione prettamente cristiana, ma come una forte volontà di far ritrovare al suo popolo una nuova dimensione spirituale, in grado di portarli alla serenità. Prima di essere un prete, James ci appare come un uomo stanco e tormentato, ma molto sensibile. Non messaggero di Dio, non saggio, semplicemente un uomo come tanti che ha seguito la vocazione per la chiesa e che vorrebbe aiutare gli altri. Il film non manca di criticare gli ordini religiosi: molti dei preti risultano ridicoli e superficiali, ma James è l’eccezione, a James ci si affeziona, e con lui soffriamo quando vengono mostrati gli stereotipi spesso legati alla sua figura. Quando un padre per esempio allontana la figlia dal prete temendo la stia molestando verbalmente, non possiamo fare altro che provare sconforto e tristezza.
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L’idea per il film mi è venuta durante la realizzazione di The Guard, quando Brendan e io parlavamo di quanto deve essere terribile per qualcuno che cammina per la strada essere giudicato subito in modo sinistro a causa di quello che indossa. Molti preti divengono preti perché vogliono fare del bene, ma non sono più percepiti in quel modo. L’universo morale è stato capovolto. Quando inizialmente ne abbiamo discusso, ho pensato che ci sono più film cliché in uscita che trattano di preti cattivi. Ho pensato, mandiamo fuori per primo il nostro film su un prete buono, tutti gli altri su preti cattivi possono venire dopo.
Il regista stesso, notoriamente ateo, ha spiegato con queste parole la nascita del film.
Il film è caratterizzato da colori pallidi e freddi, creando così atmosfere cupe che rispecchiano lo stato d’animo del sacerdote e della sua comunità. Il regista sceglie poi molte immagini evocative. Oltre ai paesaggi immensi e di straordinaria bellezza, molte sequenze rimandano agli abusi subiti dal misterioso futuro assassino, mentre le immagini di distruzione non vengono mai edulcorate. Vediamo i cadaveri degli animali appesi nel retro della bottega del macellaio grondare sangue; le statue di Cristo e della Madonna andare a fuoco in primo piano coi loro volti sofferenti; il cane senza vita tra l’erba; il sangue che schizza a ogni sparo, dove niente viene censurato. Eppure, nonostante l’apparenza, i toni non sono mai completamente tragici: il film strappa qualche sorriso ed è più volte irriverente e satirico.
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Quale sia il calvario non è ben chiaro, e forse tocca proprio al pubblico scoprirlo. È il calvario dell’attesa di morire; quello del prete che non riesce a redimere i suoi vicini; quello degli abitanti ormai perduti. È probabilmente il calvario del mondo intero.
Dalila Forni
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