Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli, edito da Mondadori (acquista), vincitore del Premio Strega Giovani 2020, è tra i sei finalisti in gara. Si tratta del secondo romanzo dello scrittore romano, che ha esordito nel 2001 con la poesia e solo in seguito ha deciso di cimentarsi con la prosa. Ed è stato un successo.
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«Tutto chiede salvezza»: una settimana all’inferno
A voler accostare Mencarelli a una pietra miliare della poesia, Arthur Rimbaud, si potrebbe dire che in Tutto chiede salvezza l’autore racconta la sua personale stagione all’inferno, della durata di una settimana. Si tratta nello specifico di un trattamento sanitario obbligatorio cui è stato sottoposto a soli vent’anni, a seguito di un accesso d’ira in cui aveva perfino rischiato di uccidere suo padre. È lo stesso Mencarelli ad accostare a un girone infernale il reparto di psichiatria dell’ospedale in cui è stato ricoverato.
Come i dannati dell’Inferno dantesco, Mencarelli non è da solo a scontare la sua pena. Conosce infatti altri pazienti, alcuni fissi, altri che come lui si tratterranno solo per la durata del TSO. Dapprima il giovane protagonista è sospettoso nei confronti dei suoi compagni di camera: dopotutto, sono matti. Ci tiene a sottolineare, in primis a sé stesso, che lui non ha proprio niente a che vedere con loro. Eppure, nell’arco di quella settimana, che lo cambierà per sempre, Mencarelli imparerà a riconoscere e abbracciare la straordinaria umanità degli altri pazienti, ma anche degli infermieri e dei medici del reparto.
La malattia del poeta
Ma qual è la diagnosi di Mencarelli? Ci sono pareri discordanti anche fra gli stessi psichiatri che lo hanno visitato nel corso del tempo. È l’autore stesso a spiegare, a parole sue, cosa lo faceva soffrire a vent’anni: la consapevolezza dell’estrema fragilità della vita. Nulla può essere messo in salvo per sempre, tutto può essere spazzato via in un istante ma, mentre i “sani” sembrano saper convivere con questo fatto, il giovane Mencarelli non riesce a farsene una ragione. Da qui le reazioni estreme e quindi il TSO.
Paradossalmente, è Mario, un altro paziente, a capire per primo qual è la causa profonda della patologia di Mencarelli, e a suggerirgli come guarirne. La sua è la malattia dei poeti, che vivono emozioni amplificate rispetto alle altre persone, nel bene e nel male. È la poesia la vera cura. Mario lo incoraggia a prendere di petto il dolore trasformandolo, però, in bellezza: è il primo a spronarlo a scrivere poesie e, se lo vorrà, a pubblicarle.
«Tutto chiede salvezza»: un’umanità struggente
Il punto di forza del romanzo è la sua grandissima umanità, figlia di un altrettanto grande realismo. La scrittura di Daniele Mencarelli non è mai inutilmente impennacchiata, ma sempre vicina al parlato, e dunque alla realtà. Molti dialoghi sono addirittura in dialetto romanesco. Il realismo della forma si riflette in quello dei contenuti: non mancano scene così piene di vita nella loro disperazione di fondo, così struggenti, da non lasciare indifferente il lettore. Ci si commuove a più riprese con questo libro, che ha tutte le carte in regola per essere apprezzato dalla giuria del Premio Strega. Dopo aver terminato Tutto chiede salvezza, si ha l’impressione di avere letto un romanzo importante, destinato a lasciare un’impronta nella narrativa italiana contemporanea.
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