Se fosse confermato quanto reso noto dal settimanale l’Espresso, la posizione del governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, sarebbe gravissima. Per chi fosse vissuto fin qui su Marte, possiamo riepilogare così: l’Espresso ha pubblicato un’intercettazione telefonica (risalente al 2013) in cui un influente medico vicino a Crocetta, Matteo Tutino, dice al governatore che Lucia Borsellino – la figlia del celebre magistrato ucciso dalla mafia ed ex-assessore nella giunta guidata da Crocetta stesso – «va fermata, fatta fuori. Come suo padre». E, dinanzi a queste sconcertanti dichiarazioni, pare che Crocetta sia rimasto in silenzio, non abbia replicato in alcun modo, come se fosse un silenzio-assenso. Pubblicata l’intercettazione, Crocetta ha prontamente dichiarato di non aver udito la frase e che, se l’avesse sentita, si sarebbe infuriato. Intanto il governatore, in lacrime, si è autosospeso, per dimostrare – a suo dire – di non essere attaccato alla poltrona.
Però la Procura di Palermo ha detto che quell’intercettazione non è presente negli atti giudiziari. L’Espresso ha prontamente replicato, affermando che la telefonata esiste e che non è la prima volta che la Procura di Palermo smentisce l’esistenza di intercettazioni che in realtà ci sono. Secondo il direttore del settimanale, Luigi Vicinanza, «Nella complessa e frastagliata realtà siciliana, capita a volte a un giornale di dover raccontare verità scomode e diverse da quelle ufficiali». Ma nel primo comunicato emesso da l’Espresso si legge una cosa molto interessante, e cioè: «La conversazione intercettata […] fa parte dei fascicoli segretati di uno dei tre filoni di indagine in corso sull’ospedale Villa Sofia di Palermo». Qui sorge la prima questione: se i fascicoli sono segretati, come fa l’Espresso ad esserne in possesso?
Una seconda questione è più spiccatamente filosofica e deontologica: qual è il senso di pubblicare un’intercettazione del genere? Dare in pasto ai cittadini un’intercettazione – assolutamente irrilevante dal punto di vista del processo – in cui un medico potente dice al governatore della Sicilia simili parole verso Lucia Borsellino è fare informazione? Dal punto di vista del processo l’intercettazione è irrilevante, ma non lo è sul piano politico. E qui sta il nocciolo della questione. A voler pensar male – e, secondo alcuni, a pensar male si fa peccato ma s’indovina – si potrebbe pensare che quella de l’Espresso sia stata una manovra politica per mettere alla gogna Crocetta e costringerlo a dimettersi. Ma anche senza cedere a velleità complottistiche, il punto interrogativo – legittimo – resta.
Non volendo essere complottisti e quindi sensatamente escludendo una regia politica dietro all’operazione, una soluzione alla domanda precedente – qual è il senso di pubblicare una simile intercettazione – si può trovare facilmente, molto più trasparente e quasi scontata. Il sospetto è che la pubblicazione sia stata fatta perché riguarda un personaggio discusso e discutibile, non particolarmente amato, che quindi avrebbe scatenato – come effettivamente ha fatto – una marea di reazioni, le quali si traducono in visualizzazioni sul sito de l’Espresso e copie vendute del settimanale cartaceo. Il silenzio di Crocetta è certamente scandaloso ed è il classico caso che genera facile sdegno fra i cittadini già incazzati con la politica. Se lo si sbatte in apertura sul proprio sito e in prima pagina sul proprio cartaceo, il successo è assicurato.
Insomma, l’Espresso non ha offerto un servizio ai cittadini, a maggior ragione perché quel fatidico silenzio non ha nulla a che vedere con l’agire politico concreto di Crocetta. Che resta un pessimo politico, a prescindere da questo silenzio. L’Espresso ha fatto una semplice quanto efficace operazione commerciale.
A questo punto sorge l’ultima, fondamentale questione: che informazione è l’informazione vincolata al mercato? Dove, cioè, si pubblica non ciò che è utile a rendere il cittadino più consapevole, bensì ciò che vende di più?
Nessuno ha intenzione di difendere lo scabroso silenzio di Crocetta. Però, forse, ogni tanto varrebbe la pena di fermarsi a riflettere su ciò che scriviamo, leggiamo e condividiamo.
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