Tradurre non è un’impresa facile, soprattutto quando si tratta di opere apprezzate in tutto il mondo come la saga di Harry Potter. I sette libri hanno creato non pochi problemi ai circa settanta traduttori che si sono impegnati a rendere comprensibile – e, si spera, godibile – ai lettori non inglesi la serie.
Le difficoltà sono state moltissime. Prima di tutto i tempi dell’editoria sono incredibilmente ristretti e non c’è quindi la possibilità di una revisione ben ponderata e attenta. J. K. Rowling usa poi una lingua molto dinamica, con neologismi, frasi fatte e nomi “parlanti” che non possono essere eliminati poiché alla base della ricchezza dell’opera. Un altro problema è il non avere un lettore modello, che di solito comporta delle particolari scelte traduttive: la saga infatti non è esclusivamente per bambini, ma non è destinata nemmeno a un pubblico totalmente adulto. Inoltre, J.K. Rowling e la Warner Bros non hanno mai dato dei criteri da seguire o degli indizi su come tradurre scene o vocaboli che sarebbero risultati poi fondamentali con l’avanzare della saga. Ogni traduzione è stata quindi una scommessa, tanto che, ora che l’avventura è finita, nuove versioni – revisionate con il senno di poi – stanno uscendo nelle librerie.
La saga di Harry Potter è stata tradotta in italiano da quattro traduttrici diverse: del primo e del secondo volume si è occupata Marina Astrologo; Beatrice Masini ha invece tradotto il terzo, il quarto, il sesto e il settimo; mentre per il quinto è stato fatto un lavoro di gruppo da Beatrice Masini, Valentina Daniele e Angela Ragusa. La Salani ha poi chiesto in più occasioni l’aiuto dei fan per la traduzione di alcuni nomi: una scelta molto democratica ma non del tutto funzionale se si considera che i lettori non sono sempre competenti in materia.
Il problema alla base di queste opere è che la fedeltà non è sempre possibile: spesso lo scopo di una traduzione non è riproporre il significato preciso di un termine, ma creare nel lettore l’effetto originale del testo fonte. Suoni, giochi di parole e doppi sensi non possono essere tradotti nello stesso modo, ma devono essere adeguati a un nuovo lettore, con una lingua e una cultura differente. Quanto sia lecito riadattare e quando sia doveroso rimanere fedeli al testo originale, perdendo però qualcosa nella comprensione, è il dilemma di ogni studioso.
Questo processo è ben visibile a partire dai nomi, che in Harry Potter hanno sempre un significato nascosto e dei suoni molto evocativi. Mentre i traduttori francesi hanno deciso di tradurli tutti – compresa Hogwarts, che diventa Poudlard – e quelli spagnoli hanno optato per lasciarli in inglese, i traduttori italiani hanno modificato soltanto il 20% dei nomi originali, abbassando sempre più questa percentuale con l’avanzare della saga. Se in alcuni casi la versione inglese è piuttosto comprensibile anche da chi non conosce la lingua – complici le radici latine di molti incantesimi per esempio – in altri era invece necessario “spiegare” un nome traducendolo. Sirius Black per esempio è piuttosto evocativo anche per un lettore italiano: è il contrasto tra black, nero, e Sirio, la stella più luminosa del Cane Maggiore. Remus Lupin nasconde invece un riferimento alla licantropia e alla leggenda di Romolo e Remo. Altri nomi non sono del tutto immediati per un lettore italiano, ma sono stati conservati in inglese per non perdere i suoni: il nome di Dolores Umbridge per esempio è molto chiaro per un italiano, ma molto più ostico è il cognome, che deriva da to take umbridge, inalberarsi.
Ci sono poi quei nomi che sono stati tradotti in modo “addomesticante”, trasformandoli in italiano o in un finto inglese facile da pronunciare: se da un lato tolgono molto all’atmosfera inglese originale, dall’altro ci aiutano a capire meglio i significati nascosti. Argus Flich si è trasformato così in Argus Gazza, dato che to flich significa proprio rubare di soppiatto; Mrs Norris, un riferimento a Mansfield Park di Jane Austen, è diventata semplicemente Mrs Purr (non è l’unico riferimento colto andato perduto: le Weird Sisters, un rimando a Macbeth di Shakespeare, sono diventate le Sorelle Stravagarie, che con Shakespeare nulla hanno a che fare); mentre Peeves si è trasformato in Pix per facilitarne la pronuncia, perdendo però in questo modo il riferimento a to peeve, disturbare.
In alcuni casi la traduzione ha aggiunto significati assenti in inglese, forse cercando di recuperare quelli perduti in altre occasioni: la severa professoressa Minerva McGonagall è diventata McGrannit, conservando i suoni ma esplicitando un tratto fondamentale del suo carattere; Neville Longbottom diventa invece Paciock, aggiungendo una sfumatura che nella versione originale non esiste e che, col proseguire della saga, stona con la storia del personaggio. La traduzione di Albus Dumbledore lascia ancor più perplessi: il nome inglese si rifà a bumblebee, ovvero calabrone, dando così l’idea di un ronzio, di qualcosa di frenetico e sempre in movimento; l’italiano Silente dà invece l’idea completamente opposta, pur essendo un nome foneticamente ben riuscito ed elegante.
La scelta dei nomi delle case è stata probabilmente una delle più difficili: la traduttrice ha cercato di riprodurre la metrica e i suoni originali, creando attraverso i colori, assenti in inglese, un’atmosfera fiabesca che per certi versi ricorda agli italiani le contrade di Siena. Non sono mancati però i cambiamenti improvvisi: la prima traduzione di Ravenclaw era infatti Pecoranera, modificata poi perché in contrasto con il corvo presente sullo stemma della scuola. Anche Tassorosso è stato recentemente trasformato in Tassofrasso, una scelta ancora misteriosa e poco accettata dagli amanti della saga.
I neologismi sono un altro cavillo per chi traduce, ma in molti casi nella versione italiana è stato fatto un ottimo lavoro. La parola muggle è stata tradotta con “babbano”: mug significa ceffo, fesso, in italiano babbano deriva invece da babbeo, così da non perdere il tono ironico e dispregiativo. Meno condivisibile è stata la traduzione dei termini mudblood, halfblood e muggleborn: se un corrispettivo di muggleborn (cioè “natobabbano”) non è mai stato coniato, mudblood e halfblood, pur avendo significati molto diversi (la prima è altamente dispregiativa, al contrario della seconda), sono state tradotte entrambe con la parola “mezzosangue”, generando non poca confusione con l’uscita degli ultimi libri, dove il Principe Mezzosangue sfoggia un titolo non del tutto gratificante agli occhi del lettore italiano.
Un altro elemento che non è possibile conservare in italiano, se non snaturando completamente il testo, è quello dei dialetti. Hagrid nella versione inglese ha la parlata di Bristol, mentre in italiano parla semplicemente in modo sgrammaticato, evitando qualsiasi congiuntivo.
Per concludere, se da un lato le critiche alla traduzione italiana sono state infinte, infiniti sono stati anche i trabocchetti che le traduttrici hanno dovuto superare con fantasia, senza ricorrere all’uso di note che avrebbero appesantito il testo. In alcuni casi le scelte sono state immotivate e poco condivisibili, ma in altri si sono rivelate geniali tanto quanto l’originale.
Per la nuova edizione italiana della saga, la Salani ha deciso di tagliare la testa al toro e conservare tutti (o quasi) i nomi inglesi dei personaggi. Anche in questo caso molti fan si sono rivelati contrari alla scelta, forse perché ormai affezionati alle prime versioni. I nomi originali sono indubbiamente più difficili e meno evocativi per i futuri lettori, ma mantengono inalterata l’atmosfera dei romanzi, senza aprire il ventaglio infinito di possibili traduzioni italiane che non accontentano mai nessuno. E in fondo, anche se in inglese, qualsiasi lettore potrà scoprire cosa si cela dietro a ogni nome: basta un buon dizionario e un po’ di spirito d’iniziativa.
Katerinov Ilaria, 2007, Lucchetti babbani e medaglioni magici. Harry Potter in italiano: le sfide di una traduzione, Camelozampa.
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