Quest’estate il passaggio di Gonzalo Higuaìn dal Napoli alla Juventus è stato l’ultimo caso di un trasferimento calcistico oggetto di numerose polemiche. Chi fosse passato dalla città partenopea nei giorni successivi l’addio del Pipita avrebbe visto una Napoli realmente scossa dall’accaduto. La parola più utilizzata era una soltanto: traditore. Statuette del presepe rappresentanti “Giudain”, carta igienica con la faccia del calciatore, murales che ironizzavano, forse un po’ volgarmente, sulla presunta inefficienza atletica del giocatore argentino, reo di essersi presentato al ritiro della nuova squadra con qualche chilo di troppo.
Una piazza calorosa come Napoli non avrebbe mai potuto accettare l’addio del proprio fuoriclasse, il calciatore più amato e venerato degli ultimi anni; soprattutto non avrebbe potuto acconsentire in silenzio alla decisione del calciatore di trasferirsi proprio alla Juventus, la rivale di sempre non soltanto da un punto di vista sportivo, in quanto questa storica rivalità pone le sue radici addirittura in epoca risorgimentale; infatti agli occhi dei vecchi abitanti del Regno delle due Sicilie, i Sabaudi piemontesi incarnano perfettamente il ruolo di usurpatori di terre (e in questo caso di fuoriclasse).
Il trasferimento di Gonzalo Higuain ha richiamato alla mente un altro passaggio diretto da Napoli a Torino. Erano gli anni ’70 e il traditore quella volta non fu un argentino, ma un brasiliano: José Altafini. Il calciatore giocò per sette stagioni sotto la splendida cornice del Vesuvio, mostrando, in coppia con Omar Sivori, dei lampi di grande calcio che i napoletani avrebbero potuto apprezzare soltanto più avanti, con l’arrivo di Maradona.
Nell’estate del 1972 Altafini, ormai trentaquattrenne, si trasferì alla Juventus; il calciatore veniva considerato giustamente a fine carriera, di fatto il trasferimento inizialmente non risultò indigesto alla piazza napoletana. Fino a quando, durante la stagione 1974/75, si disputò uno Juventus – Napoli fondamentale per lo scudetto. Altafini negli ultimi anni di carriera si ritagliò un ruolo importante subentrando dalla panchina, di fatto la terminologia “alla Altafini” ancora oggi viene utilizzata per indicare un calciatore non più in grado di disputare novanta minuti, ma straordinariamente decisivo durante gli spezzoni di partita. Anche quel giorno Josè subentrò dalla panchina, sul punteggio di parità: a due minuti dal termine segnò il gol del definitivo 2-1 per i bianconeri permettendo di fatto alla Juventus di involarsi verso la conquista dell’ennesimo tricolore.
Qualche giorno dopo su un cancello dello Stadio San Paolo comparve una scritta emblematica: “Josè core ‘ngrato”. Anche Higuaìn recentemente ha segnato un gol decisivo (anche in questo caso un 2-1) durante uno Juventus – Napoli: forse non era ancora un match cruciale per lo scudetto, forse il calcio è cambiato diventando meno romantico e popolare, ma né al San Paolo né in altri luoghi è comparsa una scritta come quella dedicata ad Altafini. Il campione brasiliano però quest’estate, dopo qualche decennio, non ha nascosto di aver tirato un grosso sospiro di sollievo: «Higuain mi sostituirà presto: non sarò più io il core ‘ngrato per i napoletani».
I trasferimenti calcistici ovviamente non sono un’esclusiva italiana. Detto ciò, è doveroso sottolineare come il mondo latino abbia un modo tutto suo di intendere e vivere il gioco del pallone. In Inghilterra e Germania un calciatore, un allenatore può trasferirsi nel club rivale senza che questa decisione venga interpretata come un tradimento o una mancanza di rispetto. Nel Mediterraneo ciò avviene molto raramente, anche se esiste qualche eccezione, come il grande portiere greco Nikopolidis che ha giocato per tanti anni nelle due principali squadre di Atene (Olympiakos e Panathinaikos) facendosi apprezzare dalle due tifoserie perennemente in lotta fra loro.
Una sorte diversa è toccata a un suo collega, il portiere serbo Vladimir Stojakovic il quale dovette subire un’aggressione in quanto colpevole di essersi trasferito al Partizan, lui nato e cresciuto nella grande nemica Stella Rossa. In questi ultimi giorni in Argentina si sta dibattendo a lungo sulla decisione di Carlitos Tevez di accettare l’ultramilionaria corte cinese diventando il calciatore più pagato al mondo. Lasciare la propria squadra del cuore (il Boca Juniors) per calcare i ricchi ma poco talentuosi campi di calcio orientali ha lasciato molte perplessità, soprattutto perché Tevez ha sempre sottolineato la sua volontà di concludere la propria carriera da calciatore al Boca. Si può parlare di tradimento? Forse sì, proprio perché Carlitos non è mai stato un giocatore banale: infatti nel suo paese viene soprannominato el jugador de pueblo, a causa del suo fortissimo legame carnale con i difficili e pericolosi barrios argentini.
Il trasferimento più clamoroso di tutta la lunga storia del calcio spagnolo avvenne nella turbolenta estate del 2000. Luis Filipe Madeira Caeiro, in arte Luis Figo, passò dal Barcellona al Real Madrid campione d’Europa. Un azzardo, un’onta, un gesto inqualificabile: così venne descritto questo passaggio lungo le ramblas. Uno dei più forti calciatori europei (terminerà l’anno solare con la conquista del pallone d’oro) si macchiò di un tradimento epocale, poiché nella penisola iberica la rivalità fra Barcellona e Real Madrid va oltre la semplice battaglia sportiva. Il centralismo contro l’indipendentismo, il castillano contro il catalano.
Il calciatore portoghese andò a rafforzare l’esercito di galacticos voluti dal presidente Florentino Perez e nel primo clasico della stagione furono presi alcuni semplici provvedimenti: per esempio Figo non avrebbe dovuto battere i calci d’angolo poiché c’era il forte rischio che, avvicinandosi alla curva catalana, sarebbero piovuti svariati oggetti verso di lui. La stessa premura non venne prese due anni dopo, durante l’ennesimo scontro fra Barcellona e Real Madird. Quella volta Luis Figo non si fece alcun tipo di problema e si avvicinò al calcio d’angolo pronto per calciare il pallone. Dopo pochi passi fu costretto a tornare indietro, poiché vide arrivare contro di lui ogni oggetto possibile immaginabile: accendini, monete, una bottiglia di vetro di whiskey e poi la celebre cabeza de cerdo, la testa di un piccolo maialino. La partita venne sospesa per qualche minuto, poi si ricominciò a giocare in un clima infernale. I tifosi culè pronunciarono un’espressione valida per qualsiasi tradimento, calcistico e non, la quale sintetizza perfettamente i sentimenti provati al termine di ogni rapporto conclusosi malamente.
«Los que antes te quisimos, siempre te odiaremos».
Tanto quanto ti abbiamo amato, sempre ti odieremo.