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Tra politica e impegno sociale,
Massimo Bray racconta
la sua passione per la Cultura

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5 minuti di lettura

massimo brayMassimo Bray, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo durante il governo Letta e da poco ex parlamentare, si racconta a “Il fascino degli intellettuali”: l’esperienza da Ministro, l’associazione
#laculturachevince
, l’impegno alla Treccani e soprattutto la sua idea di cultura, portata avanti da sempre e sostenuta con passione durante l’impegno al Ministero.
Abbiamo voluto intervistarlo proprio per poter ascoltare da vicino la voce di chi ha sempre avuto a cuore la Cultura intesa come cuore pulsante del nostro Paese.
Incontriamo l’ex ministro nella sede dell’enciclopedia Treccani, dove ci accoglie con la consueta gentilezza, dandoci la possibilità di rivolgergli tutte le nostre domande (ed ecco che viene ancora più nostalgia per quella sincera voglia di fare che gli si legge, ancora e sempre, negli occhi e nelle parole).

Come nasce e cosa la fa la Sua associazione #laculturachevince? Quali sono i suoi scopi principali e con che spirito viene portata avanti?

«#laculturachevince è una piattaforma che vuole portare alla luce le esperienze di tantissimi ragazzi, donne e uomini che fanno cultura nel nostro Paese e di cui sappiamo troppo poco. Nella mia esperienza ho avuto la fortuna di incontrare molte di queste associazioni e di vedere come spesso, grazie proprio ad una forte passione, ad una grande forma di volontariato, si sia voluto non solo provvedere alla tutela del patrimonio storico-artistico, ma anche mostrare come si può fare economia dei beni culturali in maniera differente, credendo nelle grandi potenzialità del nostro patrimonio storico-artistico. Si tratta di un modello wiki, aperto, in cui tutti daranno il loro contributo: l’ideale è quello di creare una grande “piazza” della cultura italiana online in cui ognuno potrà trovare un’esperienza e capire cosa si sta facendo in un territorio. Credo che ciò sia utile anche per chi ha le responsabilità della politica e degli enti locali, in modo tale da poter vedere realmente quella che è la situazione dei nostri beni culturali, non sono solo quelli gestiti dal mondo istituzionale. Sarà davvero una bella sorpresa per gli esperimenti che si stanno facendo su tutto il territorio nazionale».

Che rapporto c’è, secondo Lei, tra cultura e paesaggio e che ruolo ha, o come si inserisce, il turismo in questo?

«Il paesaggio è una della principali caratteristiche del nostro Paese. Mi viene subito in mente quel panorama rinascimentale, di un Umanesimo che è stato capace di assecondare le caratteristiche uniche che l’Italia possiede, con un uomo che deve saperlo rispettare ed assecondare nelle sue caratteristiche mostrandosi soprattutto in grado di tutelarle. Questo è avvenuto per moltissimo tempo e basterebbe andare a rileggere quelli che sono stati i viaggi di grandi intellettuali stranieri in Italia per vedere come il paesaggio andava a legarsi alla cultura, senza possibilità di separazione da tutte le manifestazioni storico-artistiche. Ora, se tutto questo patrimonio che è forma costituente del nostro Paese venisse tutelato, preservato senza finire per rovinarlo come purtroppo tante volte si è fatto, credo che ciò potrebbe costituire motivo di riflessione su come il turismo culturale possa realmente essere una delle chiavi di sviluppo del Paese».

brayLei ha aspramente criticato il provvedimento “Sblocca Italia”: cosa c’è che non va in questa legge e perché? e cosa bisognerebbe concretamente fare per tutelare il nostro patrimonio?

«Ciò che non mi ha convinto nella questione dello “Sblocca Italia” è stato, ancora una volta, la necessità di dover ricorrere alla deroga per portare avanti i grandi lavori in Italia. Se è vero che esistono forme che rallentano alcune decisioni, allora vanno cambiate le cose che non funzionano. L’idea che, ogni volta che vi è un ostacolo, nel nostro Paese si debba ricorrere a procedure d’urgenza e dunque alla deroga delle leggi non mi convince per niente. Credo che in qualche misura ciò che stiamo vedendo accadere proprio in queste settimane sia conferma del fatto di quanto sarebbe invece bene rispettare determinate norme; laddove queste procedure pongono dei freni occorrerebbe riscriverle, non toglierle o aggirarle. In tutti questi anni, purtroppo, l’unico modo di risolvere i problemi che si sono presentati sul nostro cammino non è stato quello di risolverli ma di aggirarli. È questa modalità che non condivido e che dovrebbe inoltre far riflettere chi ha una responsabilità politica, poiché si tratta di un metodo che sino ad oggi non ha portato a grandi soluzioni».

Nel corso del suo intervento pronunciato alla conferenza “La centralità della diplomazia culturale nelle relazioni tra Iran e Italia” dello scorso 12 marzo, Lei ha sottolineato come «un ruolo decisivo nello stabilire contatti, relazioni, scambi tra Paesi appartenenti a realtà anche assai distanti può essere svolto dalla diplomazia culturale». Su che piano e come può avvenire, secondo Lei, questo scambio culturale?

«Dividerei il discorso in due temi. Il primo è proprio quello del rapporto con l’Iran, e l’accordo che si è raggiunto a Losanna in questi giorni ci conferma come sia necessario perseguire una via di dialogo con questo Paese su cui basare la politica estera. L’Italia in particolare ha una grande tradizione di dialogo e possiede inoltre un’enorme capacità di interpretare quelle che sono le forme e le tradizioni culturali, storiche e politiche diverse dalla nostra e perciò deve, a mio avviso, davvero impegnarsi a tener viva questa tradizione. L’Iran è un Paese con grandi tradizioni culturali e grandissime storie, per molti versi anche simili alle nostre, e può giocare inoltre un ruolo importantissimo in uno scacchiere così delicato come quello del Medio Oriente. Dalla prima visita in Iran, il mio impegno è stato proprio quello di creare dei presupposti per instaurare un dialogo forte tra i due Stati e credo che a Losanna si sia proprio voluto sottolineare come questo Paese possa realmente essere un nostro partner nel tentativo, che tutti dobbiamo fare, per ricostruire una pace nel Medio Oriente. Sono particolarmente contento del fatto che non solo i governanti dell’Iran ma anche molti cittadini mi ritengano un amico del loro Paese, perché questo dialogo è davvero alla base di una bellissima ed importante prospettiva di pace.
Per quanto riguarda la diplomazia culturale, io avverto che siamo di fronte ad enormi cambiamenti che chiedono al governo italiano di dar vita ad una serie di forme che giustamente adeguino il Paese a quanto sta avvenendo. Una delle riflessioni che vorrei si svolgesse in Italia è appunto quella sul ruolo della diplomazia. E all’interno di questa discussione credo che sarebbe utile affrontare il tema di quanto la cultura, nel XXI secolo, possa aiutare le relazioni tra i popoli, tra gli Stati. A mio avviso può avere un ruolo davvero preponderante; l’ho detto in tutti gli incontri che ho avuto la fortuna di fare come Ministro e veramente mi piacerebbe potesse aprirsi un dibattito su questo».

Cosa Le ha lasciato l’esperienza da Ministro dei Beni e delle Attività culturali? Quali progetti ha portato avanti e quali le sarebbe piaciuto approfondire?

«L’esperienza è stata sicuramente bellissima: ho avuto una grande fortuna a poterla vivere andando a conoscere così da vicino quelle che sono le strutture del Ministero, la ricchezza delle competenze che lì ci sono e la presenza di moltissime persone che lavorano ogni giorno per tutelare il nostro patrimonio. Credo che in quell’esperienza così breve si sia cercato di aprire un dialogo con le realtà culturali, ma anche con le molte donne e uomini che sono impegnati nella cultura. La riforma delle lirico-sinfoniche, il primo tax credit sulla musica, quelli sul cinema, i provvedimenti che sono stati presi su Pompei, sulla Reggia di Caserta, su quella di Carditello sono stati tutti tentativi di mettere al centro del dibattito italiano proprio la cultura e la necessità di tutelare questo grande patrimonio che possediamo e che va difeso in tutti i modi.
Mi sarebbe piaciuto avere tempo e modo per studiare le forme volte a portare a compimento il recupero del centro storico de L’Aquila, ma avrei anche voluto lanciare un grande progetto di recupero di una città che amo davvero molto: Taranto».

A intervista conclusa ci rendiamo conto di quanto l’immagine di Massimo Bray che avevamo fin ora imparato ad apprezzare non solo è confermata, ma in qualche modo rafforzata maggiormente, perché è stato possibile toccare con mano l’entusiasmo e la forza che lo animano. Di un’umiltà che è merce rara al giorno d’oggi, con gentilezza e disponibilità ha ascoltato ed incoraggiato i nostri progetti.
La passione per la Cultura esiste, davvero.

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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