Che si viva in un mondo globalizzato lo abbiamo capito da un pezzo e che in questa nuova dimensione un ruolo decisivo per la sorte degli ormai vecchi Stati-nazione sia svolto dalle istituzioni internazionali, UE in primis per noi italici, è altrettanto chiaro. Eppure soffriamo di un deficit di informazione che rasenta il patetico. A livello europeo è assente, come dice bene il filosofo Jürgen Habermas, una sfera pubblica, un’opinione pubblica europea, tanto su quella che potremmo chiamare la politica estera europea, tanto per quanto concerne quella interna. Questa settimana è stata – ed è – decisiva su molti temi, tre in particolare, di cui però i nostri media, sembrano non interessarsi per nulla: l’incontro di Miami tra la Commissione europea e la controparte americana per negoziare sul TTIP; le elezioni di lunedì (19 ottobre) in Canada e infine le votazioni di domani (domenica 25 ottobre) in Polonia. Del primo tema abbiamo già scritto e non è questo il luogo per riprendere l’argomento, visto che evoluzioni significative non ci sono state. Vogliamo allora cercare di tracciare un breve resoconto delle due tornate elettorali, provando a metterne in evidenza l’incidenza sulla politica europea e dunque sui nostri interessi.
Il 19 ottobre si sono svolte le elezioni in Canada. Con un risultato assolutamente incredibile, Justin Trudeau ha guidato il partito liberale e progressista, che nelle precedenti consultazioni aveva raggiunto il minimo storico, verso una vittoria schiacciante, guadagnando ben 190 seggi su 338 nel parlamento canadese. Di fatto, il Canada ha voluto voltare pagina dopo dieci anni di governi conservatori e ha bocciato l’operato dell’ormai ex presidente Stephen Harper. Questo risultato non sembra tuttavia avere riscosso molto successo tra i media europei, ma la sua incidenza avrà enormi conseguenze.
Una vittoria del partito conservatore, che ha ottenuto 106 seggi rispetto ai precedenti 166, avrebbe infatti avuto un significato fondamentale nella prossima conferenza internazionale sui cambiamenti climatici che si terrà a Parigi a dicembre. Il Canada, come l’Australia, svolge un ruolo decisivo nella produzione di emissioni e, come dichiarato dall’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, negli ultimi anni (quelli dei governi conservatori di Harper) sembrava essersi ritirato da un impegno costruttivo sul piano internazionale sul controllo delle emissioni. Sul sito Road to Paris, il giornalista Leigh Phillips aveva addirittura tuonato: «Canada e Australia sono quelli che potrebbero essere chiamati i “Bad Boys” del cambiamento climatico». Ed è proprio il clima uno dei punti più importanti sui quali si è spesa la campagna elettorale in Canada, che ha visto il neo presidente Trudeau promettere che a Parigi il Canada sarà unito e deciso nel sostenere una politica di riduzioni delle emissioni.
Stando ai numeri, Canada e Australia non dovrebbero avere una grande incidenza nell’imminente dibattito parigino, visto che la percentuale di emissioni cui contribuiscono a livello mondiale si aggira intorno al 3% del totale. Eppure sono tra i più grandi produttori di carbon fossile, il che li rende sicuramente attori protagonisti al fianco di Europa, USA e Cina. E benché tanto la Cina, quanto l’India abbiano promesso nei prossimi anni di investire nelle energie rinnovabili, la domanda di carbon fossile aumenta annualmente del 9.4%, di fatto, rafforzando il ruolo dei paesi produttori. Di qui il ruolo fondamentale che il nuovo Canada di Trudeau può giocare, assumendo una posizione centrale nel dibattito mondiale. È evidente che la politica degli ultimi dieci anni, di carattere conservatore, avendo messo al primo posto la produzione di petrolio e gas, i quali contribuiscono al 10% del PIL canadese, non ha aiutato ad andare nella direzione di una partecipazione costruttiva alla conferenza di Parigi, ma è proprio per questo che il voto di lunedì è stato un segnale forte di svolta e coraggio, oltre che di cambiamento. La campagna elettorale del partito conservatore, che ha fatto leva sui sentimenti di paura dei cittadini, non ha avuto successo e di fronte a un aumento della temperatura globale annuo di 0.8 gradi Celsius, è prevalsa la responsabilità civica dei canadesi, che ora sono pronti, come dichiarato dall’ambasciatore tedesco ad Ottawa, a collaborare ad una nuova politica globale, non più in accordo con gli USA ma con l’Unione Europea.
“Aggiudicatosi”, quasi a sua insaputa, il primo match l’Unione Europea si prepara a un altro fine settimana di importanza strategica, che vede per la seconda volta protagonista uno dei paesi più controversi e più interessanti dell’Unione: la Polonia. I polacchi sono di nuovo chiamati al voto quest’anno, questa volta per scegliere i rappresentanti della camera bassa e del senato. A sfidarsi sono il partito Legge e Giustizia (PiS) del presidente Andrej Duda e Piattaforma Civica del presidente del consiglio europeo Donald Tusk. Molti analisti riconoscono che, a prescindere dal risultato che si raggiungerà, la politica polacca rispetto all’UE non cambierà. Varsavia continuerà a difendere l’uso del carbone, resisterà a una politica comune europea sugli immigrati, rimarrà sospettosa rispetto a ogni accordo con la Russia e rimanderà ogni adesione all’Euro, oltre a mantenere un rapporto di amicizia stretto con gli USA e concedere basi militari alla Nato.
Eppure, nonostante questi punti fermi, qualcosa potrebbe cambiare nel caso di vittoria degli euroscettici di PiS. Più nello specifico, tre sono i punti caldi. In primo luogo, potrebbero cambiare le relazioni con la Germania – da sempre primo partner commerciale polacco – che potrebbero peggiorare nel caso di una vittoria del PiS. La questione come dice giustamente Łukasz Lipiński di Polityka Insight, un think-tank, è se peggioreranno di poco o di molto, soprattutto in relazione ai temi cruciali: Russia, cambiamento climatico e NATO. Il secondo punto è di natura geopolitica e si riferisce alla possibile creazione di una nuova potenza regionale che coinvolgerebbe i paesi Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca) più Romania, Balcani e Ucraina. Terzo e ultimo punto invece concerne l’alleanza tra Polonia e Regno Unito. Agata Gostyńska-Jakubowska del Centre for European Reform sostiene che un governo a guida PiS sarebbe un alleato naturale di David Cameron e un sostenitore della cosiddetta Brexit. Non solo, ma l’alleanza con la Gran Bretagna potrebbe essere utilizzata come minaccia costante alle istituzioni europee per negoziare su tutti i punti non graditi al governo di Varsavia.
Anche a chi non è esperto del campo non può sfuggire che simili cambiamenti siano di importanza fondamentale. Basti pensare al tema forse più scottante, cioè quello dei migranti, rispetto al quale una politica euroscettica e nazionalista ha portato ad un dibattito lungo e logorante, ancora in corso, sulla ripartizione degli sfollati, oltre che alle pietose scene ormai celebri della chiusura dei confini ungherese e delle persone marchiate a numeri in Repubblica Ceca. Certo non sfugge nemmeno che i leader europei si siano incontrati a Madrid e non ovviamente a Varsavia, ma anche questo non ha fatto notizia. È altresì indubbio che non si possa parlare di tutto in trenta minuti di telegiornale, ma forse, più semplicemente, il ritorno di Silvio Berlusconi al PPE e il gelo tra l’ex Cavaliere e l’ex presidente francese Nicholas Sarkozy, erano notizie più interessanti, con buona pace dell’opinione pubblica europea e di Habermas.