«Ama il tuo sogno se pur ti tormenta» diceva Gabriele D’Annunzio, e di tormentati e tormentoni è piena la letteratura. Da Giacomo Leopardi a Cesare Pavese, passando per Zerocalcare. Dalle poesie ai romanzi, passando per le graphic novel. Lo vediamo sui social, tra le descrizioni di improbabili foto, con casuali citazioni di autori del calibro di Charles Bukowski, Fëdor Dostoevskij e, per non farsi mancare nulla, anche Fabio Volo. L’obiettivo? Uno solo: apparire il più possibile intelligentemente tormentati. Il risultato: diventare tormentoni cliché. Forse D’Annunzio non aveva tutti torti, in effetti tanto dolore a qualcosa servirà, anche solo a firmare la prossima hit estiva.
La letteratura, a sorpresa o forse nemmeno troppo, diventa uno stratagemma per ostentare davanti agli altri una cultura che è più apparenza che sostanza, quando il fisico più palestrato o le vacanze nel resort più esclusivo sembrano non bastare più. Quanti like fa Pavese, e quanti Dostoevskij? C’è chi è ben consapevole del fenomeno e, con una buona dose di ironia, cavalca l’onda, come l’account Instagram @adelphighetti, che pare smascherare l’effettiva raison d’être della prestigiosa casa editrice milanese: non serve mica leggere quei libri dalle copertine color pastello, l’importante è averli a fare scena nella propria libreria – o nel proprio feed. Tutto acquista credibilità con quelle copertine, ed ecco che nell’account ritroviamo opere di narrativa di consumo (nel migliore dei casi) reinterpretate secondo l’estetica di Adelphi. Perfino quella che viene considerata la più snob delle case editrici italiane diventa così smaccatamente pop, peggio dell’ultimo singolo di Baby K.
Ma esiste pure chi pop lo è nato e lo rivendica con orgoglio, come l’acclamata poetessa canadese di origini indiane Rupi Kaur. Un vero fenomeno non solo editoriale, ma anche e soprattutto social. Kaur è tra le rarissime poetesse da quattro milioni e mezzo di follower (ben più dei cantanti, sforna-hit come Achille Lauro o Elodie, per intenderci), tacciata dai più puristi di scrivere versi banali, che si contraddistinguono per la forse ancor più trita abolizione di maiuscole e segni di punteggiatura. Eppure è la dimostrazione che la poesia non è mai stata così pop – se per effettivo apprezzamento dei suoi componimenti o solo perché fa tendenza, non ci è dato saperlo. Ma in fondo, a che serve? Resta il fatto che Kaur fa tour in giro per il mondo al pari di qualsiasi popstar.
Tra grandi nomi del passato citati senza un vero perché, solo per strappare qualche like dandosi arie da anima in pena, e star social del panorama editoriale contemporaneo, viene da chiedersi se alla fine anche qualcosa di tradizionalmente serio (e pure un po’ elitario, diciamocelo) come la letteratura non si sia piegato alla logica consumistica dei tormentoni. In effetti, nemmeno nei suoi sogni più fantasiosi Dostoevskij avrebbe mai immaginato che il suo splendido Le notti bianche sarebbe stato citato a sproposito su Facebook e Instagram nell’intento di sprizzare tormento esistenziale da ogni poro – magari sotto foto che ben poco hanno a che vedere con questo tormento o con la San Pietroburgo che fa da cornice al romanzo. E che smacco sarebbe per il buon vecchio Fëdor scoprire che la frase di gran lunga più citata non viene neppure dal libro, anche se tutti nelle caption spergiurano il contrario: l’inflazionatissima «Un giorno tu ti…