Se con A Beautiful Mind la magistrale interpretazione di Russell Crow aveva trascinato il pubblico nelle più intime tempeste del premio Nobel John Nash, con The Imitation Game Benedict Cumberbatch ci porta dietro le quinte della storia, presentando al mondo un personaggio tanto complesso quanto geniale. È la storia di Alan Turing, matematico e crittografo britannico, e di come il suo ingegno e le sue scoperte rivoluzionarie abbiano salvato la vita a milioni di esseri umani.
Nel 1939, infatti, Turing entrò a far parte di un’equipe specializzata con il compito di distruggere la più potente e micidiale arma nazista: Enigma, la macchina utilizzata per cifrare i messaggi riguardanti gli attacchi e le missioni belliche. Definita da tutti indecifrabile, Enigma generava miliardi di codici al giorno, la cui chiave di lettura scadeva ogni 24 ore. Nascoste dietro la facciata di una stazione radiofonica, le più brillanti menti della Gran Bretagna lavoravano senza sosta, accompagnate dal macabro ticchettio dell’orologio, che misurava i secondi in unità di vittime. Ma tra fogli stracciati, inutili combinazioni, e serie infinite di codici, emerge la figura di Turing, e la genesi della sua rivoluzionaria creatura.
È necessario sottolineare il grande spessore umano che Cumberbatch ha conferito al suo personaggio. Attraverso un’espressività forse ridotta al minimo, le emozioni dilagano in un’incessante vortice, dall’estrema sicurezza alla vulnerabilità assoluta, dalla completa solitudine alla piena fiducia verso il prossimo, dalla gioia di un successo alla paura della responsabilità. Inoltre, la personalità che Cumberbatch ha dovuto mostrare al mondo è estremamente complessa. Il primo impatto è quello di un uomo molto sicuro di sé e delle sue capacità, sprezzante dell’autorità ed incredibilmente ostile. Si svela poi il lato geniale del personaggio, durante la progettazione della sua macchina, «Christopher», predecessore dell’odierno computer. Infine, Turing scompare dallo schermo, e al suo posto troviamo noi stessi. Troviamo le difficoltà che ognuno di noi deve affrontare quotidianamente per rimanere fedele a se stesso, il dolore di non poter essere capiti, e la solitudine che affligge chi è diverso.
Infatti, nonostante la sua brillante invenzione sia stata decisiva per la fine della guerra, Turing venne discriminato per la sua omosessualità, venne condannato alla castrazione chimica per poi essere dimenticato. E forse è questo il grande Enigma che Turing ci spinge a risolvere. Ciò che il pubblico vede sullo schermo non è la Seconda Guerra Mondiale, non è la lotta fra Turing e Hitler, ma è la cruda realtà quotidiana della discriminazione.
La bellezza di The Imitation Game non sta nella trama, che può essere brevemente riassunta in poche righe, ma nel capitale umano che trasmette. Si potrebbero spendere fiumi di parole sul cast e sulle loro grandi interpretazioni. Ma non si renderebbe giustizia alla grandezza di questa pellicola. Perché il pubblico qui può sentire ciò che si ha paura di dire, e può vedere ciò che si tende a nascondere. Per quanto un uomo sia grande, per quanto la sua intelligenza superi i limiti dell’immaginabile, ci sarà sempre qualcuno pronto a denigrarlo, pronto a sminuirlo per l’orientamento sessuale, politico o religioso, per i modi di fare o per la personalità e ci sarà sempre un uomo stupito e incredulo di fronte alle capacità di una donna (come nel caso di Joan Clarke, interpretato da un splendida Keira Knightley).
Non si può quindi che concludere con un sincero elogio della pellicola e del cast, e con una frase che da sola rende questo film meraviglioso:
Sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose quelle che fanno cose che nessuno può immaginare…
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