Passeggiando per i corridoi delle Gallerie dell’Accademia a Venezia si fanno strani incontri. Fra Madonne con bambini, ritratti interessanti ed eventi conviviali, può capitare infatti di imbattersi in un particolare paesaggio magnetico abitato da figure misteriose e indecifrabili. Si tratta de La tempesta dipinta da Giorgione, il più importante esponente della scuola veneta
Chi è quell’uomo ben vestito appoggiato a un bastone? É forse stanco? Cosa avranno sorretto un tempo quelle colonne spezzate? E perché la ragazza nuda che sta allattando il suo bambino seduta nell’erba continua a fissarmi? Sono questi gli interrogativi che vengono in mente allo spettatore che si soffermi sul quadro. Continuando a osservare, si percepisce quasi il vento soffiare leggero fra gli alberi, in lontananza si scorge una città sconosciuta, mentre un lampo squarcia nuvole dense d’azzurro cupo. Si ha allora la sensazione che qualcosa stia per accadere e non si può far altro che restare lì, a fissare La tempesta, aspettando che qualcosa si muova, che il mistero si sveli. E intanto una sensazione mista di malinconia e irrequietezza passa dagli occhi di chi guarda e invade mente e cuore.
Interpretazione de «La tempesta» di Giorgione
La tela, dipinta fra il 1502 e il 1503, fu con molta probabilità commissionata da Gabriele Vendramin, un illustre patrizio dell’epoca, e dopo vicende alterne acquisita dal comune di Venezia dal Principe Giovannelli. Nonostante sia passato molto tempo dalla sua realizzazione, le ipotesi relative all’interpretazione del dipinto sono ancora tutt’oggi ipotetiche e incerte.
La maggior parte degli studiosi tende a pensare che il vero soggetto del dipinto non siano le figure ma la natura, e che esse siano state solo un espediente per rendere la composizione più completa. Da un’analisi approfondita del quadro ottenuta con strumenti a raggi x, è difatti emerso come il giovane sia stato disegnato sopra una precedente figura di donna intenta a bagnarsi in un ruscello, indicativo di quanto all’artista forse non importasse molto dell’elemento umano. Tuttavia, sono molti altri a sostenere che invece vi sia sempre un messaggio da scoprire in ogni opera, e che in questo caso potrebbe avere dei legami anche con la Bibbia. É questa l’idea di Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, il quale ravvede nella scena l’episodio di Adamo ed Eva col piccolo Caino cacciati dal Paradiso terrestre. Lo studioso Calvesi, invece, sostiene che vi sarebbero ne La tempesta di Giorgione una fusione di elementi pagani e cristiani probabilmente rifacenti la filosofia neoplatonica, riferendosi in particolare all’unione fra cielo e terra.
Il tonalismo
Per quanto concerne l’aspetto puramente pittorico l’artista ha impiegato una tempera a uovo e olio di noce, utilizzando la tecnica del tonalismo. Si tratta di una tipica tecnica della tradizione veneta consistente nell’applicare il colore tono su tono, in velature sovrapposte, al fine di ottenere plasticità ed effetto di fusione fra l’ambiente e i personaggi raffigurati. Luce, ombra, prospettiva e profondità vengono così realizzati con l’esclusivo uso del colore, con cui Giorgione sperimenta giochi di luce intensa e impasti cromatici ricchi e sfumati. L’artista riesce così ad armonizzare le figure e la natura quasi come fossero tutt’uno, restituendo all’osservatore la più dolce delle visioni.
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