Riorientarsi: trovare nuovamente l’oriente o trovare un nuovo oriente? La ripetizione sembra concedere spazio all’ermeneutica. Ma se la grammatica vacilla sdoppiando il prefisso tra avverbio e aggettivo, la geografia è perentoria: l’alternativa pare non sussistere dal momento in cui l’oriente è uno, tanto quanto il Sole.
L’Oriente cambia è vero, a seconda dalla latitudine o semplicemente al variare delle stagioni, ma l’Oriente è tale in quanto punto in cui sorge il Sole. Il punto di riferimento è unico, altrimenti non sarebbe per natura tale.
Così sembra insegnare la Natura, semplice nella sua drasticità; drastico sembra tutto ciò che non sembra poter vantare la medesima naturale semplicità. Non è semplice trovare un unico punto di riferimento: è naturale in quanto proprio della Natura, una Natura ormai soppiantata da millenni di evoluzione e da decenni che hanno ormai lungamente sconfessato il mito del buon selvaggio, favorendo così la possibilità dell’alternativa.
Orientarsi nelle parole a teatro
La grammatica con le parole che ci siamo inventati sembra più accogliente e affidabile rispetto a una natura muta con un unico punto di riferimento: non ci resta che affidarci alle parole e alle possibilità che ci offrono, in primis quella di trovare un nuovo punto di riferimento.
Le parole ci donano questa opportunità e quando diventano Arte, soprattutto se sono create, scelte appositamente per questo scopo. L’Arte della parola, la parola che crea una realtà è l’ultimatum rispetto alla costrizione asfissiante, all’obbligo che rinchiude e toglie l’aria: ricreare la realtà è possibile attraverso la parola, ed è l’arte più antica: è il Teatro.
In un momento storico in cui i riferimenti si sono infinitamente moltiplicati, è necessario saper dare ascolto alle parole e scoprirle nella concretezza dell’azione. Le parole a teatro sono corpo e voce.
La commedia come anestesia del cuore
Così, il Teatro Franco Parenti, con la nuova produzione che vede in scena Il delitto di via dell’Orsina dal 9 al 23 dicembre, propone la possibilità di trovare un nuovo oriente, nella parola, con la parola. L’arguta scelta della brillante drammaturgia di Eugène Labiche nell’adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah erige il disorientamento a punto di partenza per poi intraprendere una direzione comica.
Leggi anche:
Quali spettacoli vedere nei teatri di Milano a dicembre?
La scelta del genere comico implica la consapevolezza della vita reale, concreta in cui si è immersi, per poi poter distanziarsene e alla debita distanza -perfettamente adatta al palcoscenico- riderne. La risata comica richiede un’anestesia del cuore: per ridere di qualcosa è necessario riconoscersi ma sentirsi fuori. La compassione non fa ridere.
Il delitto di via dell’Orsina è una storia di altri, di un altro tempo e di un altro luogo in grado di parlare al pubblico perché capace di misurarsi con il nostro tempo. Il disorientamento iniziale dei personaggi, grazie alla capacità attoriale di Massimo Dapporto, Antonello Fassari, Susanna Marcomeni, Andrea Soffiantini, Christian Pradella, Luca Cesa-Bianchi e Antonio Cornacchione, si radica nel dialogo per offrire una chiara direzione immaginativa verso la profondità abissale del presente.
Sorridi mentre cerchi l’oriente!
L’inquietudine di fondo della commedia di Labiche trova appiglio nel meccanismo comico. La contraddittorietà dei rapporti umani si mostra nella risata, come monito di una presa di consapevolezza che non deve portare alla censura dell’autocommiserazione, bensì, alla scoperta di potersi liberare del dubbio e della fragilità della solitudine, a patto di riconoscersi appartenenti, insieme.
La coralità dell’azione scenica, amplificata e rinvigorita dalla musica dal vivo di Alessandro Nidi con la collaborazione di Fabio Cherstich e Giuseppe di Benedetto al pianoforte, Lorenzo Giavenna al flauto e Edgardo Barlassina al clarinetto, garantisce la possibilità di ritrovarsi, a partire da una nuova quotidianità, più leggera, che gode di una risata lucida perché consapevole della mancanza di punti di riferimento e della possibilità di trovarne di nuovi.
Tornare a teatro con la grande commedia di Labiche significa confrontarsi con le parole, con le possibilità di condividerle e di poter creare una realtà dialogata, in cui le parole vengono attraversate da chi le vive e respirando la medesima vita di chi le parla, rilasciano una risata.
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!
Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!