Dal 7 ottobre 2023 la Striscia di Gaza è il centro del rinnovato conflitto tra Israele e il gruppo paramilitare di Hamas. Cosa può fare il Teatro di fronte ad avvenimenti storici di tale genere e portata come il conflitto israelo-palestinese? Quale il ruolo che l’arte drammatica ha nella società di oggi? Per rispondere a queste domande analizzeremo il libro Testimone oculare – il libro del figlio di Muhammad al-Qaysi da cui è tratto lo spettacolo Nakba – I nostri occhi sono i nostri nomi di Enrico Frattaroli.
Una prima distinzione
Numerose opinioni esistono riguardo al fatto che l’arte debba o non debba essere politica. Oscar Wilde, ad esempio, era uno dei massimi rappresentanti dell’edonismo per cui l’arte doveva essere fine a se stessa. Al centro di quella corrente vi era la bellezza e l’esaltazione di essa. Al contrario, cinquant’anni dopo, la poesia di Bertold Brecht nasceva come politica, investita di un potere temporale ben definito e necessario.
Ad oggi non è fondamentale decidere quale delle due mansioni siano destinate all’arte; forse, auguratamente, non dovremo mai stabilirlo e potremo rimanere liberi di considerare l’arte uno strumento di comunicazione adatto a qualsiasi tipo di messaggio.
Raccontare i fatti
Prendendo in esame il sopracitato utilizzo dell’arte come mezzo politico, soffermiamoci sull’arte drammatica e dunque su due modalità con cui la messa in scena può parlare di attualità.
In primis gli artisti possono creare un’opera originale che vada a toccare tematiche reali e sia catalizzatrice del messaggio che gli autori intendono comunicare. Alcuni esempi di tale utilizzo della drammaturgia sono Madre Courage e i suoi figli di Bertold Brecht, Aspettando Godot di Samuel Beckett oppure il contemporaneo Allarmi! di Emanuele Aldovrandi. Ovviamente esistono innumerevoli testi nati da urgenze di carattere pubblico e sociale, proprio perché l’artista è una persona immersa nella società e quindi per forza di cose è influenzato dalla realtà in cui vive.