Mors ubi gaudet succurrere vitæ, ossia «Qui la morte gode a dare soccorso alla vita». Questa è l’iscrizione che dà il benvenuto a chi si appresta a entrare nel teatro anatomico di Padova, sede di alcune delle scoperte mediche più importanti del XVII secolo. Costruito per poter permettere a studenti di medicina di assistere a delle autopsie dal vivo, il teatro rivela, già nel suo nome, quella componente di spettacolarizzazione e drammatizzazione che gli è intrinseca. Cosa non è un teatro, del resto, se non un luogo dove poter guardare ed essere spettatore? La sua etimologia parla chiaro. Eppure, nel caso del teatro anatomico patavino, siamo di fronte a una visione proibita, un intrattenimento colpevole. Lo spettacolo di questo teatro erano i cadaveri.
La struttura del teatro anatomico di Padova
Il teatro anatomico di Padova nacque nel 1595 per sostituire i teatri temporanei che ogni estate venivano smontati e ritirati nei magazzini. La sua forma a cono rovesciato, atta a fornire una visione panoramica a tutti gli spettatori, era ispirata agli anfiteatri romani. Sei anelli ellittici — ricavati da legno di noce, larice e abete rosso — costituivano i palchi e potevano accogliere, dietro a una ringhiera, fino a duecentocinquanta persone. Al centro del teatro era posto il tavolo anatomico; accanto, la preziosa sedia in legno di noce del professore, affiancata dagli sgabelli dei suoi assistenti. I posti in prima fila, dall’altro lato del tavolo, erano riservati alle personalità più eminenti, ovvero i membri del collegio medico e i nobili. Per quanto riguarda l’illuminazione, la mancanza totale di finestre (fino al 1845) comportava un’oscurità perenne, mitigata soltanto dalla fiamma di qualche candelabro. Come se non bastasse, il fetore del cadavere, soprattutto una volta aperto e svuotato a poco a poco dei suoi organi, invadeva la sala e rendeva l’aria a dir poco irrespirabile.
Come funzionava una dissezione
Il teatro anatomico era luogo di dimostrazione e osservazione, dove professori praticavano autopsie davanti a un pubblico che poteva comprendere colleghi medici, studenti, ma anche degli spettatori più variegati che desideravano assistere a un tale evento. Le autopsie avvenivano soltanto durante i mesi invernali — l’afa dell’estate avrebbe, del resto, fatto decomporre il cadavere in poche ore. Le autorità giudiziarie procuravano i corpi, molto spesso di condannati a morte, ma talora anche di mendicanti deceduti per strada. Ad ogni lezione, dunque, il cadavere veniva adagiato sul tavolo anatomico e coperto con un telo fino all’arrivo del professore. Quando questi giungeva, i massari — ovvero gli assistenti — toglievano il panno dal corpo e accendevano i candelabri. Cominciava dunque l’autopsia vera e propria che, a seconda del professore, poteva essere di due tipologie: una più modesta e concisa, dove gli studenti potevano osservare da vicino il cadavere e porre domande; l’altra, invece, più sfarzosa, destinata ad attestare l’autorità dell’anatomista operante. In quest’ultimo caso, si trattava di pure esibizioni, ricche di personalità illustri e complete di orchestra che eseguiva le musiche dal vivo, per contrastare la tetraggine della situazione. Immaginiamoci dunque un pubblico certamente ammaliato davanti a un questo spettacolo, ma anche inevitabilmente nauseato dalle esalazioni maleodoranti di un corpo aperto in decomposizione.
Il teatro anatomico di Padova fu il nucleo formativo di numerosi luminari dell’anatomia, tra cui ricordiamo Vesalio, Girolamo Fabrizio e William Harvey. Di William Harvey abbiamo già parlato in questo articolo; andiamo a conoscere gli altri.
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Andrea Vesalio e la prima opera di anatomia
Andreas Vesalius, conosciuto anche come Vesalio, era un medico fiammingo specializzato in anatomia. Fu tra i primi a rifiutare i precetti della fisiologia galenica — la teoria degli umori e il concetto di rete mirabile — e a riconoscere l’utilità della dissezione nella conoscenza del corpo umano. Lavorò all’Università di Padova, nel cui teatro anatomico condusse moltissime autopsie. Durante le sue lezioni, Vesalio tendeva a dare priorità ai suoi studenti, incoraggiandoli a fare domande e a toccare il cadavere con le proprie mani. La sua opera magna, De humani corporis fabrica, era il sunto della sua carriera universitaria, nonché la prima opera scientifica a trattare di anatomia: era il 1543. In essa, oltre a elencare gli errori di Galeno, si analizzavano gli organi e i tessuti del corpo umano, con l’aiuto di illustrazioni — ancora oggi fonte d’ammirazione grazie alla loro minuziosità ed eleganza.
Girolamo Fabrici, professore dai molteplici interessi
Girolamo Fabrici era originario di Acquapendente, nel Lazio. Dopo essersi laureato in filosofia e medicina, cominciò una lunga e fortunata carriera nell’ateneo patavino in qualità di professore di anatomia e chirurgia. Stanco di tenere lezioni all’aperto, fu proprio Girolamo Fabrici a prodigarsi per la costruzione del teatro anatomico. Tuttavia, aveva la nomea di essere un professore ritardatario e piuttosto scorbutico — al punto che alcuni studenti tedeschi si lamentarono di lui. Girolamo Fabrici era comunque un fine uomo di scienza e pubblicò diversi studi sulla circolazione del sangue, sul funzionamento delle orecchie e degli occhi e persino sulla formazione dei feti.
Il teatro anatomico oggi
L’aspetto del teatro anatomico patavino rimase lo stesso per secoli, finché nel 1845 il professore Francesco Cortese ordinò la costruzione di una platea di legno e l’apertura di un lucernario. Quest’ultimo eliminava i gocciolanti candelabri che, come si può immaginare, non spargevano la luce necessaria alle fini operazioni degli anatomisti. Con la progressiva diminuzione delle pubbliche esecuzioni, i professori faticavano a ottenere i cadaveri per le loro dissezioni. Nel 1872, infatti, il teatro chiuse. Oggi lo ritroviamo riprodotto nel Palazzo del Bo, sede della facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Padova.
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Fonti:
- sito dell’Università di Padova
- Articolo del National Geographic Visit the World’s Oldest Anatomical Theater
- Katharine Park, “The Criminal and the Saintly Body: Autopsy and Dissection in Renaissance Italy.” Renaissance Quarterly, vol. 47, no. 1, 1994, pp. 1–33.
- Lynda Payne, With Words and Knives – learning medical dispassion in Early Modern England, Routledge London and New York, 2007.