I padri non si sentono più tali, diciamolo francamente. Per diventarlo biologicamente non serve chissà quale miracolo della natura o della scienza. Il problema è diventarlo a tutti gli effetti. Perché padri si diventa. Purtroppo, però, gli ultimi decenni di storia non ci hanno lasciato delle grandi testimonianze in merito di paternità
Padri padroni, padri autoritari
I padri di una volta, per intenderci, quelli della generazione degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta non erano dei padri modello, o almeno, molti di loro non lo erano. Non vogliamo generalizzare, ma alcuni erano estremamente autoritari, figure marmoree che concentravano su di sé tutto il potere economico della famiglia (Gasparrini, 2016). Il padre era l’autorità massima, quella che non si poteva assolutamente mettere in discussione, colui che doveva avere sempre l’ultima parola su ogni questione, ma la cui vita però non veniva mai messa in discussione. Ci sono stati molti casi di padri violenti, despoti, padri padroni che con la loro autorità perpetuavano le regole di un mondo già scritto, agendo arbitrariamente su mogli e figli. Le donne, al contrario, dovevano elemosinare la propria esistenza e il diritto ad essa (Melandri, 2002).
Insomma, un’eredità pesante a cui i padri di oggi, coloro che hanno un’età compresa fra i trenta e i quarantacinque anni, hanno dovuto supplire inventandosi modelli alternativi o decidendo addirittura di fuggire dalla paternità e darsi alla completa latitanza per tutta la vita.
Papà di oggi e papà di domani
Oggi i padri si sentono padri? Ma soprattutto, quale tipo di paternità mettono in scena per i loro piccoli, dopo aver così violentemente rinunciato a quella del passato?
I padri di oggi, quelli che hanno un’età compresa tra i trenta e i quarantacinque anni, cercano modelli molto diversi, che abbracciano addirittura ciò che era una volta singola e unica prerogativa della donna, come i compiti rispetto alla cura dei figli. Svegliarsi la notte per cullare il neonato in lacrime sembra, quindi, non essere più un problema, come cambiargli il pannolino o portarlo fuori per una passeggiata all’aria aperta, mentre mamma si riposa un poco o finisce un lavoro.
Addirittura, molti scelgono la frontiera dello smart working per essere più presenti in casa e con le compagne o mogli, anche loro stravolte dalla maternità. Lo dimostra uno studio di REGUS, che sostiene che 85% dei genitori, oggi, preferisce il lavoro agile.
Nel 2011 l’azienda Mellin del gruppo Danone ha iniziato ad avvallare lo smart working per i papà che chiedevano di essere più presenti e attivi nella vita famigliare. Stessa sorte è toccata anche a Talent Garden, la più grande piattaforma europea per il networking e la formazione digitale, che ha permesso a sempre più uomini di concedersi il lavoro da casa una volta diventati papà.
Un modello vincente?
Papà in smart working, papà che cucinano e che suppliscono le mamme nelle faccende domestiche. Niente di strano, anzi, tutto molto bello, molto più paritario, ammesso e concesso, però, che i padri abbiano dimenticato un loro ruolo fondamentale della paternità: quello di faro educativo nella vita dei figli e di ponte fra la vita del nucleo famigliare e quella della società.
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Il loro rifiuto all’essere autoritari dimostra una difficoltà o un’incapacità, talvolta, di diventare autorevoli e hanno iniziato a concedere tutto, senza limite. Il risultato? Una generazione di padri che viziano i loro figli peggio dei nonni. Padri amici, che giocano con i figli, ma si staccano dalla playstation dopo i bambini, distrutti e che si arrendono al loro voler vincere a tutti i costi sull’ultimo gioco. Padri che portano i bambini al parco e li lasciano in balia dei coetanei, mentre loro si ritrovano a condividere selfie e stories sui social. Padri che frequentano gli stessi locali dei figli diventati un poco più adulti, creando una situazione al limite dell’imbarazzante e grottesco. Insomma, si palesa una generazione di padri che non è voluta crescere, ma che al contrario è regredita, approfittando della presenza dei più piccoli.
Come sostengono importanti studi pedagogici, siamo di fronte a dei padri completamente focalizzati su se stessi, con un Io tanto piccolo quanto saccente di onnipotenza (Cambi, 2006). Per questi soggetti i figli non sono altro che un prolungamento del proprio ego, meritevoli a prescindere di tutto di ciò che a loro è stato negato durante l’infanzia.
Ci chiediamo che adulti saranno i bambini di oggi, se ritorneranno ad una maturità più responsabile o se si involveranno verso figure egoistiche, egocentriche ed eccentriche come quelle che purtroppo popolano la nostra quotidianità, in cui abbiamo rinunciato all’identità del passato senza però riuscire a prospettarne ancora una valida.
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