Su Vitebsk, un olio su tela di 73×93 cm conservato presso la Art Gallery of Ontario di Toronto, è uno dei numerosi quadri in cui Marc Chagall rappresenta le suggestioni, i tratti e l’essenza del suo villaggio natale, Vitebsk, nell’attuale Bielorussia. Nato nel 1887 da una famiglia ebrea chassidica (una particolare corrente religiosa che fonda i propri principi su una spiritualità vitalistica, ricca di musica, danza e folclore) in una tra le terre più sperdute dell’impero russo zarista, Chagall racconta attraverso i paesaggi della propria infanzia il rapporto travagliato, fatto di nostalgia, fughe e ritorni, che per tutta la vita lo legherà al proprio paese di origine, come scrive nella sua autobiografia Ma vie «non vivo più là, ma non ho un solo quadro che non vi si ispiri o la rifletta». Vitebsk quindi non è solo uno sfocato ricordo, ma è un vero e proprio luogo dell’anima, dove la tela diventa specchio e metafora della tormentata vita dell’artista. Infatti, a causa dei soprusi perpetrati verso gli ebrei dal regime zarista, ai suoi contrasti con la politica culturale del successivo regime dei soviet e, più tardi, alle persecuzioni razziali, Chagall sarà costretto ad abbandonare Vitebsk e la Russia per Parigi, dove avrà occasione di entrare in contatto con i rappresentanti delle maggiori avanguardie europee del tempo. Nonostante il vivace fermento culturale della cosmopolita capitale francese, e le chiare influenze cubiste e fauviste di cui risentirà la sua attività artistica, Chagall conserverà sempre uno stile unico, al di fuori di ogni corrente o movimento. Infatti, come possiamo notare in quest’opera, le forme semplici, quasi stilizzate, e i colori decisi rimandano a una dimensione infantile, primigenia, quasi fiabesca.
Il suo stile è pregno di quel misticismo tipico delle favole e dei lubok (stampe popolari) della tradizione russa e della simbologia ebraica. Su Vitebsk, dipinto nel 1914 in occasione del ritorno in patria dell’artista, mostra un singolare viandante che sembra librarsi in volo tra le colline innevate del piccolo villaggio, figura, che oltre essere un possibile riferimento alla figura del profeta Elia, personaggio caratteristico delle dei racconti chassidici e talmudici, riflette perfettamente quella condizione di esule intellettuale insita nella cultura e nella storia ebraica, che impregna non solo la vita dell’artista bielorusso, ma sarà tormento e condanna per molti altri intellettuali europei, come il filosofo Theodor Adorno, lo scrittore Italo Svevo, o gli esponenti della cosiddetta “arte degenerata” da Paul Klee a Vasilij Kandinskij.
Il tema del volo, inoltre, uno degli aspetti ricorrenti della poetica di Chagall, rappresenta appieno il senso di vertigine, di perdita delle proprie radici e di mancanza di stabilità. Il vagare tra le nuvole in una surreale dimensione al confine tra sogno e realtà è simbolo della ricerca di se stessi e della propria identità in un mondo lontano, visto dall’alto, in cui tutto è rovesciato. E così, mentre tra le deserte vie di Vitebsk tutto tace sotto una fitta coltre di neve bianca, ecco il solitario «ebreo errante», emblema di un esodo millenario, che con il suo personale “bagaglio” di cultura e conoscenza, rappresentate dal pittore come un pesante fardello caricato sulle spalle, lascia inesorabilmente la propria casa e i propri affetti alla ricerca di un futuro diverso, in un nuovo Paese che possa permettere la piena espressione delle sue idee e della sua personalità artistica.
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