È ancora possibile pensare una politica che si preoccupi, che consideri necessario e come parte essenziale del suo operare la spiegazione dei rapporti strutturali in cui il suo stesso operare si trova, consapevolmente o inconsapevolmente, immerso? È possibile pensare una politica che prenda le distanze, se non da tutte le forme di retorica, almeno da quelle più mistificanti? Certo, sarebbe impossibile pensare una politica che non abbia una componente propagandistica, una posizione politica che non si avvalga di una qualche forma di sofisticheria affabulatrice, essendo quest’ultima, come la storia insegna, in una certa misura indispensabile per affermare e legittimare quella che è, e non può che essere, solo una posizione fra le altre. Se questo è il tenore della domanda posta, domanda così urgente nella contemporaneità, non si può fare a meno di cercare un interlocutore che ne sia all’altezza. Diventa impossibile, nel momento in cui si parla di responsabilità del politico e, più in generale, di forma del fare del politico, non prendere in considerazione la monumentale figura di Max Weber.
Max Weber: la politica come professione
In particolare, diventa impossibile non considerare le parole da lui espresse in occasione della celeberrima conferenza tenuta presso l’Università di Monaco di Baviera nel 1919, un anno prima della sua morte, nel contesto di una Germania uscita disastrosamente dalla Prima guerra mondiale. Stiamo parlando della conferenza che va sotto il nome de La politica come professione (acquista): l’intervento risulta imprescindibile per rispondere alla domanda che ci siamo posti sopra, in quanto il filosofo di Erfurt si propone di mostrare esattamente le caratteristiche costitutive del fare politico.
Conflitto e responsabilità
Lo sguardo disincantato di Max Weber, la sua capacità di vedere e concepire chiaramente l’insuperabile conflittualità della dimensione politica, il suo essere campo in cui ogni parte politica non può che provare a prevalere e quindi annichilire le altre parti, insomma, il suo essere polemos, conflitto, padre di tutte le cose, può essere d’aiuto per rispondere alla domanda sulla responsabilità del fare politico ed emergere come unico contesto in cui la questione che ci siamo posti possa acquistare di senso. Constatata, come fa Max Weber, questa essenziale dimensione conflittuale, in cui ogni posizione politica è una parte fra le altre, la questione della responsabilità del fare politico non può più essere intesa, come pur sempre e costantemente oggi accade, come un qualcosa che abbia a che vedere con vaghe prediche o con un indefinito moralismo (giustamente) fastidioso, che si somministra in pillole e che auspica, come perseguibili, comportamenti lontani da una qualsiasi forma di realismo politico.
Ecco, per l’appunto, auspici che non hanno effetti e che e non si preoccupano di spiegare nulla. Urge ridefinire (sarebbe meglio dire “richiamare”) il significato della parola “responsabilità”, parola oggi più che abusata; ma soprattutto occorre ridefinirlo in relazione alla forma specifica del fare politico. Ogni parte politica è parte che vuole affermarsi, quindi ha a che vedere con interessi specifici, nel senso che vuole che ciò che per lei vale si realizzi; tuttavia, se ci si fermasse qui, il fare politico di ogni parte risulterebbe di voler sovrastare come tutto. Pur essendo questa una dimensione assolutamente intrinseca al fare politico, questa stessa dimensione può interagire con la sua complementare.
Emerge ora un nuovo senso in cui potremmo declinare il significato della parola “responsabilità” in relazione all’agire politico così delineato: è responsabile il fare politico di quella parte che serve la sua causa perché capace di rendere risposta del perché voglia far valere quel particolare valore e non un altro. In altri termini, è responsabile quel politico che, nel portare avanti la propria causa, vede e riconosce le altre ovvero è capace di rispondere al perché quella specifica causa e non un’altra debba prevalere, cosa che richiede necessariamente il vaglio e la comprensione delle altre posizioni, quanto dei processi complessi che hanno condotto al costituirsi di tutte le posizioni che emergono nel periodo storico in cui si colloca il suo operare. Il politico non responsabile è colui che manca di tali considerazioni per Max Weber, finendo col diventare colui che non è capace di prevedere le conseguenze del suo agire politico.
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Ciò che risulta più interessante del discorso weberiano è che non cerca di indicare quale sia il valore specifico, il dover essere della politica, l’interesse che deve stare in alto in una gerarchia di valori (cosa che contraddirebbe tutti i risultati della sua ricerca). Al contrario, egli indica solo le caratteristiche di quella modalità particolare del fare che, essendo una fra tante, tassello in una molteplicità all’interno di una visione del mondo, ha in sé la necessità di riconoscere le altre parti, allo stesso fine di realizzare se stessa. La posizione che emerge è quella di un tipo politico che, per affermare la propria posizione, si trova necessariamente nella posizione di dover comprendere il mondo stesso in cui opera, rendendosi responsabile almeno del proprio interesse. Non vale la pensa, forse, rifletterci ancora? La politica come scontro irriducibile, ma, soprattutto, come responsabilità.
Ottavio Lovece
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