Elezione del Presidente della Figc: le regole
Lo scorso mercoledì 23 gennaio, al sorteggio della fase a gruppi della Nations League (il nuovo torneo per nazionali voluto dalla Uefa), l’Italia era, ovviamente, l’unico paese che si è presentato senza un allenatore e un presidente federale. Le due cariche, come è arcinoto, sono attualmente vacanti in seguito alle vicissitudini tecniche e politiche post-sconfitta con la Svezia e conseguente addio alla speranza di poter disputare la Coppa del mondo in Russia. Il commissario tecnico della nazionale viene scelto proprio dal presidente federale: per questo il primo vuoto che dovrà essere riempito sarà quello dirigenziale e successivamente il nuovo presidente dovrà rimboccarsi le maniche e (fra le altre cose) cercare il profilo giusto a cui consegnare la panchina più ambita. C’è una data che potrebbe (e dovrebbe) rappresentare la svolta del nuovo corso azzurro: il 29 gennaio l’Assemblea elettiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio si riunirà per eleggere il nuovo presidente.
All’assemblea elettiva partecipano 275 delegati, i quali esprimono esattamente 516 voti. Infatti l’elezione del presidente della Figc segue un criterio di votazione quasi milliano, dove non esiste la regola del voto per testa. Concretamente, durante l’assemblea partecipano 20 delegati della Serie A, 22 della Serie B, 56 della Lega Pro, 90 dei Dilettanti, 52 dei calciatori, 26 degli allenatori e 9 delegati degli arbitri. Il voto di questi delegati va moltiplicato per un certo coefficiente, il quale va a formare questo totale: dei 516 voti totali la Serie A pesa per il 12%, la Serie B per il 5 %, la Lega Pro per il 17%, i Dilettanti per il 34%, i Calciatori per il 20%, gli Allenatori per il 10% e gli Arbitri per il 2%.
L’elezione del Presidente della Figc avviene al primo scrutinio, qualora il candidato riuscisse a ricevere il 75% dei voti; al secondo scrutinio, invece, un candidato deve riuscire a convogliare il 66% dei voti per essere eletto; nel terzo scrutinio è sufficiente raggiungere il 50% più uno. Qualora non fossero sufficienti tre scrutini, ci sarà un ballottaggio fra i due candidati che hanno ricevuto la più alta percentuale dei voti espressi. Un dato da tenere presente è che tutte le elezioni sono segrete.
Democrazia e meritocrazia
Per ciò che concerne la concreta elezione del presidente, il metodo dello scrutinio appare abbastanza semplice e lineare, non molto diverso dalle elezione del Presidente della Repubblica: inizialmente si cerca di raggiungere una maggioranza elevata (i 2/3 dei votanti), ma andando avanti con le votazioni diventa sufficiente il raggiungimento dell’esatta metà (più uno). Ciò che, al contrario, appare a prima vista alquanto singolare è il “criterio democratico”, dove i votanti pesano in maniera differente all’interno dell’assemblea. Nonostante il voto dei delegati della Serie A sia da moltiplicare per 3 (mentre, per esempio, quello dei Dilettanti sia da moltiplicare per 1,9) si può agevolmente notare come la Serie A conti effettivamente molto poco nel meccanismo elettivo del presidente della Figc. I delegati dei Dilettanti pesano praticamente il triplo dei delegati della Serie A. Ciò è un’assurdità? Dipende dai punti di vista. A conti fatti il calcio italiano non riguarda solamente Juventus, Inter, Milan e le altre squadre, ma ciò non toglie che la Serie A risucchia quasi totalmente l’intero bacino d’utenza calcistico nazionale. L’elezione di Carlo Tavecchio nel 2014 arrivò nonostante un’opinione pubblica fortemente contraria, influenzata anche dall’opposizione di Juventus e Roma (all’epoca la prima e la seconda del campionato), la quale certamente aiutò per quanto concerne i titoli dei giornali, ma fu totalmente ininfluente nel mero calcolo numerico dei voti.
Verso il voto del 29 gennaio
Al momento le candidature sono tre. Cosimo Sibilia, presidente della Lega Dilettanti, Gabriele Gravina, presidente della Lega Pro e Damiano Tommasi, ex calciatore di Roma e nazionale e attualmente presidente dell’Associazione calciatori. Corsa a tre? Molto difficile, quasi impossibile. Lo scenario maggiormente plausibile è che lunedì 29 gennaio, infatti, ci sarà un duello fra Sibilia e Gravina, con Damiano Tommasi ampiamente defilato ma che può recitare la parte dell’ago della bilancia. Il motto popolare “fra i due litiganti il terzo gode” appare, in questo caso, una sceneggiatura assai improbabile. Damiano Tommasi rappresenta certamente un profilo perfetto agli occhi dell’opinione pubblica (ex calciatore, uomo nuovo, giovane e con idee intriganti) ma è evidente a tutti che, ad oggi, ha il sostegno solamente dal sindacato dei calciatori, di cui ne è il presidente. L’ex romanista, con il suo 20% dei voti, sarà in grado di spostare gli equilibri a favore di uno fra Sibilla e Gravina e gli ultimi rumors parlano di un avvicinamento di Tommasi al Presidente della Lega Pro. Cosimo Sibilia, senatore di Forza Italia, politico navigato nonché vecchio braccio destro di Carlo Tavecchio, appare isolato, ma ha dalla sua l’esperienza di sapersi destreggiare in situazioni del genere, che poco (anzi, niente) hanno a che fare con il gioco del pallone ma tanto (anzi, tantissimo) risultano pertinenti al mondo della politica.
Il Presidente del Coni Giovanni Malagò avrebbe voluto uno scenario diverso. D’altronde fu lui che si mosse in prima persona, dopo la sconfitta contro la Svezia, screditando pubblicamente il lavoro triennale di Carlo Tavecchio. Chiaramente una vittoria di Sibilla rappresenterebbe una sconfitta per Malagò stesso e per chiunque pensasse a un drastico cambiamento all’interno dei vertici calcistici italiani. La tanto decantata svolta radicale, a conti fatti, non ci sarà. Ad oggi si può solamente sperare che chi diventerà presidente sarà capace di imboccare la strada migliore per il futuro del calcio italiano.