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Stendardo per Fabrizio De André in gradinata Nord.
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Storie recenti sul derby di Genova raccontate da Fabrizio De André

La spinosa storia che segna il derby di Genova, raccontata attraverso le magnifiche parole di uno dei migliori cantautori italiani.

5 minuti di lettura

Genova ha il cuore repubblicano. Non è monarchica, quindi in città non può esistere una sola squadra di calcio. Difatti, il derby di Genova è il derby più vecchio d’Italia, però non ha sempre frapposto Genoa e Samp. Il Genoa, club più antico del paese, ha sfidato, in ordine, l’Andrea Doria, la Sampierdarenese, il Liguria e dal dopoguerra ad oggi, per l’appunto, la Sampdoria.

derby di Genova
Stendardo per Fabrizio De André in gradinata Nord.
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Il calcio genovese

Genova viaggia da sempre in direzione ostinata e contraria. Si è detto della sua tradizione repubblicana, ma anche lo stadio è differente rispetto al resto d’Italia. Marassi segue il modello inglese, gli spettatori si trovano a ridosso del campo. Le tribune dietro le porte in tutti gli altri stadi italiani si chiamano curve, mentre a Genova no: sono le gradinate. La gradinata Nord è la casa rossoblu, la gradinata Sud quella blucerchiata. Nel mondo è difficile trovare un derby più bello di questo, soprattutto per i colori. Perché spesso il derby di Genova è fine a se stesso, non ci sono obblighi di classifica da rispettare; quindi la posta in palio è maggiore perché vale, letteralmente, una stagione. I derby che hanno significato qualcos’altro, oltre alla supremazia cittadina, sono risultati spesso drammatici. Come quello del 2011, quando il genoano Mauro Boselli segnò il goal che spedì, di fatto, i nemici di sempre in serie B. Era una fresca serata di primavera, ma vallo a spiegare ai sampdoriani. Lungo il corso della storia ci sono stati momenti duri per entrambe le squadre, e causa retrocessioni varie, il derby di Genova non si è disputato tutte le stagioni. Negli ultimi anni però ha avuto delle belle, bellissime storie da raccontare.

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Il derby di Genova oggi

In quello di oggi, sulla panchina rossoblu, non ci sarà Gian Piero Gasperini, artefice dell’ultima, storica, promozione; al suo posto c’è un suo allievo, il croato Ivan Djuric, ex giocatore genoano che promette battaglia come da tradizione balcanica. Gasperson, come recitava un magnifico striscione in curva, pardon, gradinata Nord, negli anni ha svolto il lavoro di un chimico, riuscendo a far sposare gli elementi tra loro. Durante tutte le sessioni di calciomercato, il presidente Preziosi gli metteva in disordine il laboratorio: mischiava le provette, le attrezzature, i liquidi, i solfati, gli acidi e il povero Gasp, ogni volta, aveva l’arduo compito di riordinare tutto. E questo compito lo ha sempre svolto divinamente. Quest’estate ha accettato la corte di una dea, l’Atalanta, perché probabilmente si era stufato di dover ricominciare sempre da capo: non è uno di quelli idioti che muoiono d’amore.

Se Preziosi e Gasperini hanno rappresentato una certezza nel Genoa degli ultimi anni, alla Sampdoria c’è stato un via-vai maggiore: si sono alternati presidenti, allenatori e ovviamente giocatori. Un giorno di fine estate arrivò qualcuno con il compito di portare un po’ d’amore, non nel paese, ma in città. Si presentò esponendo da un balcone una maglietta con un numero 99: sopra c’era scritto Cassano. Che giocatore quel Fantantonio. Diciamolo chiaramente, lui è uno che nella Treccani sta lì, dopo maiale, Majakovskij e malfatto. Spero non vi dispiaccia signori benpensanti, io di grandi prestazioni individuali nella mia vita ne ho viste parecchie, ma quella di Cassano nel derby di Genova dell’inverno 2008 ha pochi eguali. Mette invano Christian Maggio davanti alla porta tre volte: l’esterno però ha fatto a meno delle qualità tecniche, ma non del suo coraggio, e perciò continua a correre su e giù sulla fascia. Così alla quarta invenzione di Fantantonio, finalmente, riesce a segnare. Ho sentito che Cassano è tornato alla Sampdoria l’anno scorso, ma non è la stessa cosa. È come se bocca di rosa si ripresentasse a settant’anni, con qualche ruga di troppo e il bastone: a Sant’Ilario non ci sarebbe nessuno ad attenderla.

derby di Genova
La gradinata Sud, casa blucerchiata.
www.armatablucerchiata.it

Sulla panchina della Sampdoria, tra gli altri, si è seduto anche Luigi Delneri – detto Gigi – il quale ha portato la Samp ai preliminari di Champions League. Però il suo amore è durato poco, poiché è stato presto portato via dal vento. Quello stesso vento, di tramontana, che gli permise, da calciatore blucerchiato nel derby dell’81, di segnare un gol direttamente da calcio d’angolo. Quel gol in Sudamerica si chiama gol Olimpico, perché il più famoso fu segnato all’Uruguay reduce dall’oro di Parigi 1924. Che bel posto il Sudamerica. Proprio dall’Uruguay arrivò al Genoa un papero, el pato Aguilera. Si accoppiò subito con un altro attaccante, Tomàš Shkuravý. Gente diversa. Uno sudamericano, l’altro venuto dall’Est, e in fondo, ma molto in fondo, non era per niente uguale. Erano semplicemente di un’altra categoria. In quegli anni a Genova si ballava in coppia, non si era mascherati ma si andava alla ricerca della celebrità. Vialli – Mancini la ottengono nel ’91 vincendo il primo e unico scudetto della storia sampdoriana, con Mantovani presidente, Boskov in panchina e Pagliuca in porta. Quell’anno però non riuscirono a vincere nessuno dei due derby.

D’altronde quel Genoa era molto forte, oltre ai due attaccanti c’erano Collovati, Ruotolo e Il Capitano. Cominciò a sognare anche lui insieme ai suoi compagni, quando furono i primi italiani ad espugnare Anfield, casa del Liverpool. Prese la squadra e la guidò, o forse fu lui ad essere guidato, fino a quando, non il cuore, ma qualche altra parte del corpo, impazzì. La sua anima prese il volo, definitivamente, il 6 novembre 2002. Vegliano su di lui più di mille papaveri rossoblu: in gradinata Nord si fa sempre il nome del Capitano, perché oggi manca maledettamente tanto uno così.

Gianluca Signorini, morto di SLA il 6 novembre 2002. www.wikipedia.it
Gianluca Signorini, morto di SLA il 6 novembre 2002

Le black stories di Genova

Ci sono state anche delle black stories a Genova in questi anni. Beppe Sculli e Omar Milanetto sono finiti nello scandalo del calcioscommesse. Bollati per sempre come truffatori e imbroglioni, ci è mancato poco che finissero a conversare dietro le sbarre con Cafiero Pasquale. Dall’altra sponda della città c’era invece un bravo ragazzo che portava il numero 10 dietro la schiena. Era un anarchico. Amatissimo dalla gradinata Sud per quel suo spirito ribelle che lo portava spesso a segnare a testa in giù, in rovesciata. Fu trovato due volte consecutive positivo alla cocaina, peccato. Una storia sconclusionata, una storia sbagliata, caro Ciccio Flachi.

Il suo alter ego, in quegli anni in cui Genova stava risorgendo come una fenicie dalle ceneri della serie B, era un ragazzo argentino. Grazie ai suoi gol il Genoa si guadagnò la promozione, ma un’altra black story (la partita decisiva fu truccata) fece retrocedere i rossoblu addirittura in serie C. Il ragazzo, che era davvero innamorato di quella maglia, tristemente, se ne andò. Amore che vieni, da me tornerai. Fu così, ritornò a vestire la casacca genoana nell’ultimo giorno del calciomercato di qualche anno dopo. Giocò entrambi i derby e in quello di ritorno bussò addirittura tre volte alla porta sampdoriana: nessuno aveva mai osato tanto nella storia del Derby della Lanterna. Questo ragazzo aveva un mantello rossoblu, ma non era un re, lo sarebbe diventato solamente l’anno dopo in una tiepida notte madrilena, con addosso, però, un mantello con altri colori. A Genova, lui era solo un principe, el principe, anche perché Genova, come si è detto, non è monarchica. D’altronde anche Carlo Martello, volendo fare gli storici puntigliosi, non era un re, ma solo un Maestro di palazzo.

Che nostalgia. Ma aspetteremo domani per averla. Il domani, probabilmente, sarà un giorno incerto. Ma oggi no, non può essere così. Oggi Genova si colora ed è ancora più splendente del solito. Peccato che il derby cada solamente due volte all’anno. Ma d’altronde, si sa:

«Come tutte le più belle cose
Ti vesti un giorno solo come le rose».

 

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Giacomo Van Westerhout

Classe 1992, possiedo una laurea magistrale in ambito umanistico. Maniaco di qualsiasi cosa graviti intorno allo sport e al calcio in particolare, nonostante da sportivo praticante abbia ottenuto sempre pessimi risultati. Ho un debole per i liquori all'anice mediterranei, passione che forse può fornire una spiegazione alle mie orribili prestazioni sportive.

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