Un ventennio, circa. In questi casi la datazione non può essere totalmente precisa. Si possono utilizzare due date simboliche, il 1968 e il 1988. Dai Giochi Olimpici di Città del Messico (do you remember il doppio pugno nero di Smith e Carlos?) alle olimpiadi invernali di Calgary 1988, un anno prima del crollo del muro di Berlino. Già, quel muro. La Germania dell’Est durante questi vent’anni olimpici fece incetta di medaglie, superando quota 500, numeri da capogiro per una qualsiasi nazione, figurarsi per un paese che negli sport di squadra, come il calcio, non poteva certamente raggiungere il livello dei cugini dell’Ovest (fatta eccezione per il leggendario gol di Jurgen Sparwasser, detto Spari, ai mondiali del 1974). Anni dopo si è poi saputo come furono vinte queste medaglie olimpiche. La Germania dell’Est in quegli anni fece un grande lavoro di progettazione sportiva e ciò sarebbe inutile e, controproducente, negarlo. Eppure, dagli anni ’90, ci si accorse che una spiegazione naturale non sarebbe potuta bastare, non tanto a spiegare le medaglie e le vittorie, quanto a comprendere alcune trasformazioni fisiche che cominciarono a riguardare gli atleti una volta terminata l’attività agonistica. Nonostante un gran numero di documenti cancellati per sempre, poco prima del 9 novembre 1989, si è riuscito a costruire il meccanismo utilizzato. È stato definito doping di stato e, probabilmente, mai terminologia fu più azzeccata.
Grandi atleti, grande nazione
Lipsia e Dresda erano i principali centri sportivi federali del Paese. Vennero circa 10 mila atleti in quegli anni. Potenziali campioni che si allenavano fino allo stremo delle forze. Poi, ad allenamento terminato, ecco che magicamente compariva per le atlete (soprattutto) e gli atleti una pillola blu scuro. «La differenza fra noi e tutti gli altri dopati nella storia dello sport è che gli altri hanno scelto di doparsi, noi no» disse Uwe Tromer, ciclista tedesco di quegli anni. Questi farmaci venivano assorbiti dagli atleti come fossero caramelle, le dosi, spesso, non venivano nemmeno testate sugli animali. Parlare di cavie umane, in questa situazione, non è assolutamente sbagliato. In breve tempo nuotatori e nuotatrici, pesisti e pesiste, atleti di ogni tipo subirono autentiche metamorfosi fisiche e non solo. Persisteva un vero e proprio sistema di doping organizzato dal governo e, ovviamente, controllato dalla Stasi. Il doping statale non era l’unico mezzo studiato dalla DDR per primeggiare a livello sportivo e, conseguentemente, utilizzare lo sport come straordinario strumento di propaganda a livello mondiale. Un piano non molto diverso da quello goebbelsiano del 1936: la camera di Leni Riefenstahl filmò per il mondo intero le gesta degli sportivi durante i giochi olimpici berlinesi esaltando, chiaramente, le grandi prestazione degli atleti tedeschi.
Doping di stato con il farmaco Oral-Turinabol
«L’amplesso è avvenuto fra le 20:00 e le 20:0» si legge nel libro I miei anni fra il dovere e la scelta. L’autrice? Nientemeno che Katarina Witt, due volte campionessa di pattinaggio a Sarajevo ’84 e Calgary ’88. Al termine della carriera Katarina si decise a svuotare il sacco, sciorinando le oltre tremila pagine che la Stati riempì su di lei da quando era una semplice promessa. La Witt sarebbe potuta essere una protagonista de Le vite degli altri, stupendo film vincitore dell’Oscar come miglior pellicola straniera nel 2006. Il controllo capillare degli atleti, 24 ore su 24, risultava fondamentale per ottenere determinati risultati sportivi.
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E poi, ovviamente, c’erano le bombe chimiche che, regolarmente, venivano somministrate agli atleti. Già, ma precisamente, cosa erano costretti ad assumere questi sportivi a cui, improvvisamente, venne depennata la possibilità del libero arbitrio? Il prodotto incriminato, nonché principale protagonista della vicenda, è l’Oral-Turinabol della casa farmaceutica Jenapharm. Il farmaco venne inizialmente prodotto negli anni ’60, quando la fabbrica contava non più di una quarantina di dipendenti. Negli anni del boom sportivo della DDR si contano circa cinque tonnellate di Turinabol prodotte annualmente. L’azienda, che dopo aver cambiato vari nomi esiste ancora oggi, si è sempre difesa, in maniera pilatesca, sottolineando come il loro compito fosse unicamente quello di vendere il prodotto. Sull’effettivo e concreto dosaggio, invece, non avevano voce in capitolo. Questo, ovviamente, era una delle mansioni degli allenatori e dei tecnici della DDR.
I personaggi di quegli anni
L’ex sprinter Ines Greipel, presidente dell’Associazione vittime tedesche del doping, ha lanciato una sentenza che fa rabbrividire: «A 56 anni, ormai, sono una delle più vecchie rimaste in vita». Le morti sospette cominciarono presto, ma non furono le uniche stranezze che accompagnarono gli atleti della DDR una volta terminata la carriera agonistica. Deformazioni, tumori, alterazioni metaboliche, disfunzione erettile, sterilità. Ben 52 atleti generarono figli con disfunzioni. Nonostante la mancanza di dati ufficiali in seguito alla eliminazione di migliaia di documenti, è risaputo che le atlete donne erano soggette a una somministrazione maggiore dell’Oral-Turinabol, il farmaco maledetto. D’altronde esso non era nient’altro che uno steroide anabolizzante androgeno, la via più breve (e orribile) per la virilizzazione della donna. L’ingrossamento rapido e dolorosissimo del clitoride era una delle conseguenze principali dell’abuso dello steroide.
Il caso più emblematico di quegli anni è senz’altro quello di Heidi Krieger, ex pesista tedesca. Nel 1986 agli Europei di Stoccarda lanciò il suo peso a 21,10 metri, una misura eccezionale che gli valse, ovviamente, la medaglia d’oro. Heidi terminò la sua carriera presto a causa di continui problemi fisici. Seguì un periodo di enormi problemi psichici e di totale non accettazione di sé stessa. Solamente nel 1986 sappiamo che le somministrarono 2.590 milligrammi di Oral-Turinabol. Negli anni ’90 cominciò a sviluppare tratti totalmente maschili e nel 1997 prese la decisione che le cambiò la vita: Heidi divenne Andreas e, successivamente al cambio di sesso, si sposò con l’ex nuotatrice Ute Krause.
Mettere una pezza malamente sul doping di stato
Non servono grosse prove davanti all’evidenza. Il doping di stato nella ex DDR è esistito ed è durato per circa vent’anni, creando autentici mostri. Il paese unificato ha dovuto fare i conti presto con tutto quello che successe in quel maledetto periodo, durante la Guerra Fredda. Nel 2006 il Bundestag tedesco varò una legge che impose il risarcimento degli atleti (e le loro famiglie perché, come si è detto, molti non sono più nelle condizioni di ricevere denaro) della DDR coinvolti nel sistema di doping statale. A quanto ammontò il risarcimento? Otto mila euro a testa. Una cifra che oscilla fra l’irrisorio e il ridicolo. Metà della spesa fu pagata dalla Jenaapharm, la restante parte dallo stato tedesco, riunificatosi solamente 18 anni prima. Il danno ormai era stato fatto, fu necessario solamente lavare una grossa, grossissima colpa. Umano, poco umano, verrebbe da dire.
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