Il problema della definizione dell’Antropocene ha tenuto impegnati molteplici settori disciplinari lungo il corso degli ultimi vent’anni. A partire dal fondamentale articolo di Crutzen e Stoermer tale questione, sorta nell’ambito della ricerca geologica e stratigrafica, ha superato gli originari confini di appartenenza. Alla prospettiva naturalistica, che considera l’Antropocene come una nuova epoca geologica nella storia della Terra rilevabile attraverso misurazioni stratigrafiche, si è aggiunta una prospettiva legata al contesto delle scienze sociali ed umane, che indaga non solo le modalità di costruzione dell’idea di un’”epoca umana”, ma anche i rapporti di potere-sapere che essa implica, o come l’ideale moderno di una storia lanciata verso il progresso sia da essa messo in crisi, o ancora in che misura l’onnipresenza dell’elemento umano sul pianeta contesti la distinzione tra umano e non-umano e tra cultura e natura.
Il posto della critica sull’Antropocene
È possibile, tuttavia, analizzare e problematizzare la questione dell’Antropocene anche partire da una prospettiva filosofica, rivendicando le potenzialità teoriche dell’Antropocene considerato in quanto concetto. L’Antropocene segnala l’irruzione della Terra (della sua temporalità, dei suoi limiti, delle sue dinamiche sistemiche) in una storia, un’economia e una società che si credevano emancipati dai vincoli della natura. Di qui, il potenziale critico di tale concetto, che insieme mette in crisi gli elementi di una certa visione del mondo e chiede di elaborare un modello alternativo ad essa.
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Secondo lo storico indiano Dipesh Chakrabarty, l’Antropocene rende problematica la distinzione moderna tra storia naturale e storia umana. Se l’Antropocene rivela l’equiparabilità dell’umano ad una “forza geologica”, capace di alterare l’equilibrio e il funzionamento complessivo del Pianeta, la separazione – presente da Toynbee a Croce, da Marx a Michelet e Sartre, così come in Hegel, il quale concepisce lo spirito come negazione dell’”esteriorità” della Natura, e dunque suo compimento – tra una storia naturale quasi “immobile”, per dirla con Braudel, ed una storia umana fatta di tempi lunghi, eventi e rotture, viene a mancare. La storia naturale non può più considerarsi “lo sfondo” sul quale si svolge la storia umana ma, assottigliandosi il confine tra le due – ed è questo ciò che rivela l’Antropocene – una parte della storia umana stessa.
Strati di tempo
Una possibile soluzione a questa problematica consiste nel riarticolare il rapporto fra storia naturale e storia umana attraverso un modello che si potrebbe definire “a strati”, che pensi cioè la storia come una serie di temporalità tra loro sovrapposte. Seguendo questa prospettiva, è possibile concepire ciascun momento del corso storico come articolato non solo entro una pluralità di ciò che Reinhart Koselleck ha definito “tempi storici” – configurazioni particolari del rapporto fra “esperienza” e “aspettativa” – ma anche di una molteplicità di stratificazioni, di livelli temporali di differente durata e diversa origine, che si mantengono, pur in un rapporto anacronico l’uno rispetto all’altro, compresenti e attivi simultaneamente, costringendo a ripensare l’affermazione kantiana per cui «diversi tempi non sono insieme, ma successivi». Ogni strato, cioè, inerisce a ed esprime quello su cui poggia senza tuttavia sussumerlo, è istituito a partire da esso, e da esso è insieme libero e vincolato, così come ogni evento storico che si produce alla superficie di tale, per dirla con Focillon, «présence de tous les passés», è reso possibile da strutture temporali profonde che, come placche tettoniche, mutano anch’esse ridistribuendo l’equilibrio complessivo del sistema. La tesi della presente ricerca è che la distinzione tra storia umana e storia naturale, messa in crisi dall’evento Antropocene, lungi dal doversi annullare, come propone Latour, confluendo entro una riconfigurazione costruttivista delle agencies compresenti sulla Terra, si mantenga nella relativa differenza in un rapporto di stratificazione, talché la storia umana scorre sulla storia naturale, così come la storia naturale poggia sulla geo-storia.
Geologia trascendentale
Questo quadro concettuale permette di sviluppare ciò che si può chiamare, mutuando un concetto elaborato da Maurice Merleau-Ponty, una «geologia trascendentale». Tale concetto costituisce il risultato più maturo entro il quale confluisce la riflessione merleau-pontyana sul nesso fra storia e natura, portata avanti sin dalla prima metà degli anni ’50. Esso sancisce una parziale separazione teorica da parte del filosofo francese dalla fenomenologia, rendendo più elastica l’applicazione di tale concetto anche al di fuori della sua filosofia: difatti, entro tale prospettiva, la Terra, intesa quale origine di spazio e tempo, rappresenta una modalità dell’essere assimilabile né, idealisticamente, al prodotto di un’operazione costitutiva della coscienza del soggetto trascendentale, né, realisticamente, ad una cosa in sé. Il fondo della storia, o, dalla prospettiva adottata ora, “lo strato” ultimo – ciò che, ancora con Merleau-Ponty, si può denominare Ur-Histoire – costituisce allora il momento trascendentale di appartenenza geologica utilizzabile per leggere la “storia profonda”, già da sempre fatta di interruzioni e mutamenti, entro la quale l’evento Antropocene, inteso quale irruzione dei ritmi della Terra, reinserisce l’uomo.
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