Nella società delle immagini il colore permea ogni aspetto della quotidianità, veicolo di messaggi nel marketing e nella comunicazione pubblicitaria, ma anche suggeritore di atmosfere nei film: pensiamo ai toni azzurrini e glaciali predominanti nei film di fantascienza come Blade Runner (1982) e Minority Report (2002) o ai toni caldi, soffusi e malinconici di certi film drammatici come Ultimo Tango a Parigi (1972) e Apocalypse Now (1979).
Nel corso dei secoli le società si sono dotate di sistemi simbolici e propagandistici complessi legati all’espressione del potere, dell’ideologia e della religione, sistemi dove il colore gioca un ruolo fondamentale come elemento identificativo e aggregante. Nell’ambito culturale, ovvero nella scelta della tavolozza cromatica di un pittore o nella descrizione del colore dell’abito del protagonista di un romanzo, non vi è mai casualità, ma un tentativo di comunicazione di sentimenti, emozioni e perfino valori.
Un caso emblematico in tal senso è rappresentato dal colore blu che nel corso dei secoli ha attraversato fortune alterne: usatissimo nell’antico Egitto – la cosiddetta “fritta egizia” è il più antico pigmento artificiale risalente al III millennio a.C. -, ma poco utilizzato, al contrario, da Greci e Romani a causa della difficoltà nella reperibilità del materiale da cui era ricavato il colore, i lapislazzuli, pietre semipreziose estremamente costose estratte in Afghanistan, al punto tale che nella ricchissima lingua greca manca una parola specifica per definire il colore blu (la parola che più si avvicina è κυάνεος, da cui deriva il nostro azzurro ciano).
Gode di grande fortuna nell’Alto Medioevo, dove il blu ricavato dai preziosi lapislazzuli, detto blu oltremare per via della sua provenienza esotica, veniva adoperato solo su richiesta di una committenza alta, come quella pontificia – a differenza della ben più economica azzurrite con la quale si tingevano le vesti dei popolani – assurgendo a colore simbolo della Vergine Maria, che dal XII secolo in avanti sarà sempre raffigurata ammantata di blu. Da questo momento in poi, il colore blu sarà associato alla spiritualità e alla purezza, andando a sostituire la tradizionale veste scura della Vergine connessa al lutto.
Il blu oltremare venne inoltre adoperato per le vetrate della Cattedrali di Chartres e della Sainte-Chapelle di Parigi, capolavori dell’architettura gotica.
Durante il Rinascimento il blu diventa il colore della nobiltà; il prezzo del blu oltremare sale alle stelle anche a causa dell’articolato processo di lavorazione dei lapislazzuli e alcuni pittori sono costretti a ripiegare sull’azzurrite, che tende però a scolorire con l’umidità e a virare verso toni verdastri. Con l’avvento della pittura a olio, il blu oltremare, utilizzato puro nella pittura a tempera, verrà diluito con altri colori, come il bianco, ottenendo la classica tonalità accesa tipica della pittura di Raffaello.
Tra Settecento e Ottocento il blu e le sue sfumature sono associati al prestigio nobiliare, come evidente nella ritrattistica soprattutto femminile. Basti pensare alle nobildonne ritratte da Jean-Auguste-Dominique Ingres, tra cui la celebre Princesse de Broglie, animatrice dei salotti culturali nella Parigi del Secondo Impero, avvolta in un uno sfarzoso abito in raso impreziosito da drappi e pietre preziose.
La storia del blu, associato all’alta aristocrazia, al lusso ma anche alla spiritualità e all’idealismo più puri, ha fatto sì che alcuni celebri personaggi della letteratura vestissero orgogliosamente di tale colore per rivendicare alti ideali e aspirazioni. Basti pensare al tormentato protagonista dei Dolori del Giovane Werther (1774), che J.W. Goethe sceglie di vestire con un panciotto giallo e una giacca blu, abiti indossati anche nel momento del tragico suicidio per un amore non corrisposto, creando una vera e propria moda tra i giovani europei che si sentivano spiritualmente affini al romantico personaggio e lo manifestavano indossando i suoi colori come fossero una divisa identificativa.
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Blu è anche l’abito dell’eroina nata dalla penna di Gustave Flaubert, Madame Bovary, la cui aspirazione a una vita lussuosa, avventurosa e fuori dall’ordinario la porterà a condividere la tragica fine di Werther, a distanza di un secolo. Durante la narrazione il colore blu ritorna come orgoglioso rigetto di una vita piccolo borghese che non la soddisfa, non solo negli abiti dell’infelice protagonista, ma anche negli oggetti e nei luoghi a lei legati, dalla carrozza blu dell’amante in fuga al vetro blu della fiala dalla quale la donna berrà l’arsenico, ponendo fine alla sua vita.
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Il modello bovaryano, privo della sua accezione negativa, si ripercuote in tempi molto più vicini ai nostri nel classico dell’animazione Disney La Bella e la Bestia del 1993, dove la protagonista, amante della lettura e desiderosa di una vita diversa rispetto alla realtà di provincia in cui è confinata, indossa un abito turchese che la caratterizza come personaggio intelligente, anticonformista e romantico.
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