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La storia del calendario

Dalle origini romane alle riforme di Cesare e Gregorio XIII, fino alla sua forma moderna: l'evoluzione del calendario

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“Che giorno è oggi?”, “Aspetta, fammi controllare sul calendario”, “Dovrei consultare la mia agenda”. Frasi di questo genere fanno parte della nostra quotidianità e strumenti come il calendario sono diventati ormai imprescindibili, soprattutto in un mondo pieno di impegni come quello odierno. Ma è sempre stato così? La risposta è complessa: un concetto di “calendario” risulta essere presente già nella Roma delle origini (o almeno così ci dicono le fonti), ma si tratta di un qualcosa che è passato attraverso varie rielaborazioni, per cristallizzarsi infine in quella che è la sua forma attuale.

i Fasti Anziati, copia più antica di calendario locale mai rinvenuta, risalenti circa al 60 a.C. e unico esemplare a riportare un calendario che segue le riforma di Numa Pompilio. Ritrovati sotto la villa di Nerone ad Anzio, sono oggi conservati presso il Museo Nazionale Romano (Palazzo Massimo alle Terme, Roma).

Ricostruzione dei Fasti Anziati:

La storia del calendario – nella sua accezione occidentale – inizia secondo le fonti nell’VIII secolo a.C. ed è associata alla leggendaria fondazione della città di Roma da parte di Romolo, dato che, con la crescita del corpo civico e la progressiva estensione della città, era di fondamentale importanza avere una base che potesse regolare i ritmi della vita pubblica. Il primo calendario elaborato a questo scopo era di tipo lunare e costituito da dieci mesi (ognuno avente 30 o 31 giorni), che andavano da marzo a dicembre: marzo/Martius era dedicato a Marte, padre di Romolo e dunque investito dell’onore di dare il nome al primo mese dell’anno; l’origine di aprile/Aprilis è più incerta e da collegare secondo alcuni ad aperio (“aprire”, in riferimento alla rinascita primaverile), mentre altri propendono per un legame con Aphrodites (divenuta in etrusco Apro); maggio/Maius deriva probabilmente da Maia, divinità dell’abbondanza e della fertilità, e giugno/Iunius da Iuno (Giunone, sposa di Giove). Dal quinto in poi, i mesi prendevano invece il nome dal numerale ad essi associato: Quintilis per il quinto mese, Sextilis per il sesto, September per il settimo, October per l’ottavo, November per il nono e December per il decimo. Secondo Ovidio (Fasti I, 33-34), la scelta del numero dieci sarebbe derivata dal calcolo legato alla gestazione del nascituro, che per gli antichi Romani avveniva nell’arco di dieci mesi.

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Questo sistema era tuttavia imperfetto, siccome non teneva conto di tutti i giorni invernali successivi alla fine di dicembre e, secondo le fonti, fu perfezionato da Numa Pompilio con l’aggiunta di 51 giorni ai 304 precedenti. Ciò portò alla formazione di gennaio/Ianuarius (da ianua, “porta/soglia”) e febbraio/Februarius (da Februus, antica divinità etrusca associata alla morte), unico mese dotato di un numero pari di giorni (28, mentre gli altri – dopo la riforma – ne contavano 29 o 31) e dunque adatto a costituire l’ultimo mese dell’anno, in cui si celebrava la fine o morte dell’anno e la purificazione in vista dell’inizio del successivo con la festa dei Terminalia (23 febbraio e cinque giorni successivi). Per colmare le irregolarità che si creavano e seguire i cicli naturali, si decise di aggiungere un mese intercalare, detto Mercedonius, ogni due o tre anni: era compito del pontefice massimo stabilire se inserirlo o meno e, molto spesso, la scelta dipendeva dalle sue simpatie politiche, dato che in questo modo poteva allungare o accorciare le cariche pubbliche dei magistrati.

L’inizio dell’anno venne poi portato a gennaio, anche se le fonti sono discrepanti riguardo al motivo di questo cambiamento: nel 191 a.C. fu promulgata la lex Acilia de intercalatione, un primo tentativo di far coincidere l’effettiva durata dell’anno con quella dell’anno solare e nel 153 a.C. i consoli vennero eletti a gennaio (invece che a marzo) per permettere a Quinto Fulvio Nobiliore di entrare in carica in anticipo, ai fini di sedare una ribellione avvenuta in Spagna. Era proprio l’elezione dei consoli a inaugurare l’anno successivo, che prendeva il nome dai magistrati che in questo lasso di tempo svolgevano il loro mandato, ed è probabile che il fatto straordinario del 153 abbia determinato un cambiamento di rotta. Gennaio, inoltre, era legato dal suo stesso nome al dio Giano: guardiano delle porte e, dunque, di ciò che era e che verrà, risultava essere una divinità particolarmente adatta a proteggere l’inizio di un nuovo anno.

Il sistema che le fonti associano a Numa rimase in vigore fino all’epoca di Cesare, il quale decise – in virtù della sua carica di pontefice massimo – di attuare una riforma del calendario nel 46-45 a.C. La suddetta riforma, che seguiva i calcoli delle stagioni del matematico e astronomo alessandrino Sosigene, prevedeva l’eliminazione del mese intercalare e portava l’anno a 365 giorni, con l’aggiunta di un anno bisestile ogni quattro cicli per seguire i ritmi delle stagioni. Dopo la morte di Cesare, Marco Antonio decise di onorare la sua memoria dedicandogli il mese che fino ad allora era stato noto con il nome di Quintilis, mutandolo in Iulius. Anche il mese Sextilis assunse un nuovo nome: nell’8 a.C. fu rinominato Augustus per ordine del Senato, con lo scopo di celebrare Ottaviano Augusto.

Con il passare dei secoli e l’avvento del Cristianesimo, solstizi ed equinozi risultavano sempre più sfalsati rispetto alle date prestabilite e ciò costituiva un problema per il calcolo della Pasqua, che avveniva (e avviene tuttora) su base lunare. Per ovviare a questo problema, Gregorio XIII stabilì di sopprimere dieci giorni nel mese di ottobre dell’anno 1582, in maniera tale da far coincidere i giorni del calendario con i cicli naturali e di riportare l’equinozio al 21 marzo (nel mentre si era spostato all’11 marzo), mantenendo il sistema dell’anno bisestile con l’aggiunta di un giorno al mese di febbraio ogni quattro anni.

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Come avveniva però il calcolo dei giorni in epoca romana? Esso ruotava attorno a tre termini fondamentali: calende, none e idi. Le calende (Kalendae) marcavano l’inizio del nuovo mese, indicandone il primo giorno e il nome stesso “calendario” deriva da questa parola; le none (Nonae) erano collocate nel quinto o settimo giorno del mese, mentre le idi (Idus) dividevano a metà il mese e potevano collocarsi attorno al 13 o al 15: a marzo, maggio, Quintilis (poi luglio) e ottobre le none cadevano rispettivamente il settimo giorno e le idi il quindicesimo, ricoprendo invece la quinta e la tredicesima posizione in tutti i restanti. Le date venivano calcolate in base a questa suddivisione e alla vicinanza a questi momenti: i romani avrebbero fatto riferimento alla data odierna, 31 luglio, con l’espressione pridie Kalendas Sextilias (il giorno precedente le calende di agosto).

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Bibliografia:

Ovidio, Fasti

Fasti Anziati (copia più antica di calendario locale e unica precedente la riforma di Cesare)

Angelo Brelich, Calendari festivi, Editori Riuniti university press, Roma, 2015

Per approfondire soprattutto le tipologie di giorni: The calendar of the Roman Republic, Michels, Agnes Kirsopp.

Eleonora Bonacina

Sognatrice disillusa, classe 2000. Proveniente dalla leggendaria Domodossola e milanese acquisita, sono attualmente una studentessa magistrale in Filologia, Letterature e Storia dell’Antichità. Appassionata da tutto ciò che ha una storia da raccontare - con un fetish per il curioso e l’assurdo - e nerd occasionale, vivo per i piccoli istanti rubati.
È facile che io sia quella ragazza seduta da qualche parte con un libro in mano.

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