Il 22 maggio 1957, il capo dell’URSS Nikita Chruščëv partecipò a un’assemblea di responsabili colcosiani dove fece un’esortazione che era destinata a perdurare nei cuori dei patriottici più ferventi: «Raggiungere e superare gli Stati Uniti!». Peccato che si stesse riferendo alla produzione di carni e latticini in Unione Sovietica. Fraintendimenti a parte, il rapporto USA-URSS è sempre stato a dir poco altalenante. La Seconda guerra mondiale, che vide le due fazioni alleate, implicò un rilassamento verso i costumi e i prodotti americani nell’Unione Sovietica. In trincea, sintonizzarsi su radio che trasmettevano jazz era una distrazione che ai soldati sovietici era permessa, se non quasi incoraggiata. Tuttavia, con la fine del conflitto mondiale, ebbe inizio la Guerra fredda. Ci fu così un assestamento della visione sovietica degli americani: un popolo capitalista, consumista, sregolato e prepotente. Nel 1948, il governo staliniano promosse una campagna contro tutto ciò che era occidentale – film, libri, canzoni, vestiti. Vi fu un accanimento davvero pertinace contro il jazz, un genere che con le sue improvvisazioni e ritmi sincopati minacciava di distruggere quel muro di regolarità e moderazione che doveva contraddistinguere ogni melodia sovietica.
C’era però chi non condivideva questo sentimento anti-americano e lo dimostrava apertamente. Tra di loro vi erano i cacciatori di stile: gli stiljagi. Questa denominazione, formata dalla radice stil’ («stile») e il suffisso -jaga (che denota il possesso di una qualità), indica un movimento giovanile sovietico sorto negli anni Quaranta, ed esploso negli anni Cinquanta, di natura americanofila.
Come si riconoscevano gli stiljagi?
Gli stiljagi si riconoscevano subito, per strada. Incedevano compiaciuti in completi dei colori più sgargianti e con acconciature elaborate e vistose. I ragazzi sfoggiavano giacche lunghe con imbottiture alle spalle, camicie dalle fantasie smaglianti, pantaloni stretti e snelle cravatte. In molti tentavano di imitare il taglio di capelli del Tarzan di Johnny Weissmuller, protagonista dell’omonima pellicola del 1932. Chi voleva invece darsi un tono alla James Cagney, doveva procurarsi della gomma da masticare rumorosamente o, quando questa non c’era, della cera di paraffina. Le ragazze, da parte loro, erano orientate verso i vestiti a gonna larga e con spalline indossati dalle dive hollywoodiane, accompagnati a un tocco di rossetto rosso. In alternativa, c’era chi osava ancora di più sfoderando un completo maschile con pantaloni. Tutte però tendevano, come i loro compagni, a portare i capelli in tagli artificiosi, oppure a legarli intorno alla testa a mo’ di corona. A completare il look di entrambi i sessi c’era sempre un accessorio distintivo – fosse esso una borsetta, un portasigarette, un accendino o un mazzo di carte con delle foto di pin-up.
Gusti musicali sgraditi
I gusti di questi giovani erano anticonformisti tanto quanto il loro aspetto. In campo musicale, gli stiljagi erano ammiratori del foxtrot, del boogie-woogie, dello swing e, soprattutto, del jazz. Tra gli artisti più ascoltati vi era il trombonista Glenn Miller che, con la sua Swing Orchestra, aveva composto la colonna sonora del film Serenata a Vallechiara (1941), le cui canzoni venivano spesso canticchiate. Più amati ancora erano però stelle del jazz quali Eddie Rosner, Benny Goodman e Duke Ellington.
Benché questi musicisti fossero idolatrati nella sfera degli stiljagi, nel resto del paese le loro canzoni erano malaccette. Bisognava quindi ricorrere a metodi decisamente poco ortodossi per poterle ascoltare. Uno di questi consisteva nel tagliare a forma di cerchio le lastre delle radiografie, farci un buco, sintonizzarsi su radio estere e inciderle. Il risultato erano dei dischi a raggi x che si acquistavano al mercato nero delle maggiori città – uno dei più conosciuti era lo studio Il cane dorato di Leningrado. Naturalmente, la qualità dell’audio di questi prodotti casalinghi era pessima e la loro resistenza era di qualche mese.
Il nome che veniva dato a questi dischi di raggi x era variabile e personale: per alcuni erano rëbra, ovvero «costole», per altri gli «scheletri della nonna». Oggi il fenomeno non ha smesso di suscitare stupore ed è riconosciuto con il nome suggestivo di bone music, o «musica delle ossa». Dal ’58, essere in possesso di questi dischi e soprattutto commercializzarli era diventato illegale e punibile con la prigione. L’ascesa delle musicassette, qualche anno più tardi, comportò la fine dei rëbra, oggi diventati oggetti da collezione piuttosto ambiti.
Il sogno americano degli stiljagi
L’innamoramento verso la cultura occidentale e americana spesso confluì in un’idealizzazione di un mondo lontano e diverso. Gli Stati Uniti si presentavano come una terra vagheggiata di libertà e speranza, dove ognuno poteva essere se stesso – al contrario dell’URSS, dove dominava la norma e l’individualità era segno di devianza. Questo sentimento di escapismo oggi è conosciuto come Zagranica, dal prefisso za, ovvero «oltre», e la parola granica, cioè «confine». Una tensione verso un’utopia immaginaria che si sarebbe dissolta soltanto con l’apertura della Perestrojka.
Dizionario per stiljagi
Un’altra peculiarità degli stiljagi era l’esistenza di un loro gergo, di cui l’inglese funse da stampo primario. Così, Broadway (o soltanto Broad) divenne la strada del centro città eletta a punto di raduno per tutti gli stiljagi. La Broadway di Mosca, ad esempio, era via Gorkij (oggi via Tverskaja), quella di Leningrado era la Prospettiva Nevskij, mentre quella di Kiev era via Chreščatyk. Un secondo termine che vide un’ampia diffusione era čuvak, usato per riferirsi a un individuo di sesso maschile. Esso trova il suo miglior corrispondente nell’inglese dude ed è traducibile in italiano, seppure con perdita di sfumatura, con «tipo» o «tizio». Altre parole degne di menzione sono i numerosi calchi semantici dall’inglese quali šuzy (da shoes), sokzy (da socks), fazer (da father), oldovyj (da old) e i verbi lukat’ e drinkat’, presi rispettivamente da look e drink. Soltanto una minima parte di questo slang è sopravvissuta ai giorni nostri.
I nomi della rivoluzione
Al contrario, un’altra pratica linguistica di quei tempi è invece giunta intatta sino ad oggi – o meglio, i suoi frutti sono ancora visibili. Stiamo parlando dell’onomastica di stampo sovietico, di cui dobbiamo fare una precisazione: non erano soltanto gli stiljagi a ricevere i nomi nati da questa usanza patriottica, giacché essa diventò popolare subito dopo l’Ottobre Rosso. È tuttavia vero che per molti di loro sentirsi cucito addosso un nome di chiara impronta comunista era insopportabile, poiché non collimava con il loro atteggiamento apolitico. La conseguenza di tutto ciò era spesso un cambio d’identità una volta raggiunti i diciotto anni.
La Rivoluzione del 1917 portò, dunque, ad una libertà illimitata nella scelta dei nomi dei nuovi nati. Le più comuni fonti d’ispirazione erano nomi di piante quali Dub («quercia») o Berëza («betulla»), di minerali quali Rubin o Granit e di fiumi o montagne come Volga o Kazbek. Fin qui, nulla di troppo estroso. Poi però entrano in campo gli elementi chimici con Radij («radio») e Chelij («elio») oppure termini tecnici di varia natura quali Disel’ («diesel»), Drezina («draisina ferroviaria») e Avangard («avanguardia»), e la situazione si fa comica. Varchiamo il regno del grottesco quando invece i genitori si lasciavano andare a slanci patriottici, coniando nomi composti o acronimi. Come esempi basti citare Elem (Engels, Lenin, Marx) e Mel (Marx, Engels, Lenin), con la variante Mels che vede aggiungersi l’iniziale di Stalin. Troviamo inoltre Veor, che è il connubio di Velikaja Oktjabr’skaja Revolucija («Grande Rivoluzione d’Ottobre»); Leninir, che è l’unione di Lenin i Revolucija («Lenin e Rivoluzione»); Pravlen, cioè Pravda Lenina («La Verità di Lenin»). Chiudiamo con il nome forse più esemplificativo di tutti: Serp-i-molot, nientemeno che il signor «Falce-e-martello».
Il Festival mondiale della Gioventù: l’inizio della fine
Il panico morale che gli stiljagi avevano scatenato all’inizio della Guerra fredda era andato sempre più diminuendo col passare degli anni. Ormai né le intimidazioni dei poliziotti in strada, né gli slogan diffamatori come «Oggi balla il jazz, domani venderà la madrepatria» avevano più effetto. L’URSS, infatti, era arrivata ad un punto in cui non poteva più arginare l’influenza occidentale verso le nuove generazioni. Fu così che nacque, nell’estate del 1957, il Festival mondiale della Gioventù e degli Studenti. Svoltosi a Mosca nell’arco di circa sei settimane, l’evento prevedeva una pletora di esposizioni, rassegne cinematografiche, conferenze e gare sportive. Europei, americani, africani e asiatici confluirono nella capitale, che a Festival terminato poté vantare di aver ospitato 34mila persone provenienti da 131 paesi diversi.
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L’entusiasmo era al suo apice. Tuttavia, gli stiljagi dovettero anche fare i conti con un’amara verità: gli occidentali, che avevano cercato di emulare per anni, li avevano già superati. Il Festival portò con sé i jeans, le scarpe da ginnastica e, non da ultimo, il rock’n’roll. Gli stiljagi si resero conto, insomma, di essere quella “roba vecchia” che tanto beffeggiavano. A loro si sostituirono i rockers, i metallari e i breakdancers, altre controculture che, in quanto tali, erano destinate a dissolversi lasciando il loro solco nella storia.
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Bibliografia essenziale:
- Stilyagi – Fashion, Youth Counterculture and Individuality in the Communist Soviet Union, Marella Alves dos Reis, su costumesociety.org.uk
- The stylehunters of Soviet Russia, Inge Oosterhoof, 25 maggio 2015, su messynchic.com
- The Subversive Style of the Stilyagi, the Original Hipsters of Russia, Zita Whalley, 31 maggio 2018, su theculturetrip.com
- Così l’URSS scoprì i jeans e il rock and roll, Boris Egorov, 29 luglio 2019 su Russia Beyond Italia
- Hippie e stiljagi: le mode nella controcultura sovietica, Aizhan Kazak, 11 luglio 2017 su Russia Beyond Italia
Immagine in copertina da Pinterest