Cos’è successo sul palco dell’Ariston? Come è potuto succedere che un gruppo di “scappati di casa” come Lo Stato Sociale arrivasse secondo? Pare che il grande spettacolo nazional-popolare che si specchia sul paese reale della musica abbia cambiato le note del proprio gioco.
Così scrivono sul loro profilo Instagram in questi giorni:
2012, Bologna. 2018, Sanremo. Questo è un pianto di gioia e di paura. Erano le sei del pomeriggio del primo giorno di festival ed ero bloccato da una paura semplice: che non fossimo all’altezza della sfida. Che il nostro mondo capace da solo di creare un pubblico di centinaia di migliaia di ragazzi si rivelasse da poco per i milioni di adulti e bambini che formano il paese reale. Mi sono sciolto così, leggendo le parole di un amico che scriveva di paura e di come la leggerezza della vigilia di uno scherzo sia l’anticamera della felicità. Quella che ho provato in questi giorni scoprendo che si poteva essere se stessi anche all’ariston. Essere ovunque con questo amore attorno, potendo fare i cazzoni come portando addosso i nomi di cinque operai. Tutto questo non l’avremmo mai immaginato, e sarebbe triste se di questo vedeste solo delle quotazioni ottime per una gara di canzoni o dei primi posti di vendita o AirPlay. È sempre il come, non il cosa. È sempre una gita. Abbiamo fatto lo scherzo più grande della nostra vita e ci è sfuggito di mano. Ho pianto altre volte da allora, ogni volta è più piccola la parte di paura. Tutto il resto sono speculazioni competitive di cui non mi importa un cazzo, quello che rimane è la gioia dello scherzo. È stato incredibile.
Innanzitutto, la paura
In fondo se parti con un van da Bologna e sbarchi sei anni dopo nella capitale della canzone italiana, un po’ di stizza è giusto ti venga. Se fino a qualche anno fa suonavi alle feste dell’Unità e nei centri sociali, per quanto a maggio tu abbia riempito il Mediolanum Forum, esibirsi davanti a nonni, genitori, adulti di tutto il paese è una sfida non indifferente. Il pubblico davanti a cui ti mostri non si avvicina lontanamente a quello abituale. Soprattutto, poi, se sei Lodo Guenzi e non sei propriamente intonato perché, in realtà, sei un attore e il palcoscenico lo prendi un po’ come viene. Gli under 30 che lo seguono da un po’ lo sanno bene e gli vogliono bene (anche) per questo. Ma il paese reale, come può prenderla?
Essere ovunque con questo amore attorno
In queste serate non hanno fatto nulla di speciale: hanno cantato e hanno fatto i cazzoni, come ammettono loro. È proprio questo il bello: tra le polemichette dell’indie che si è venduto, la loro esibizione all’Ariston non è stata tanto diversa da quella al Carroponte. E anche se non hanno proprio vinto, ci hanno insegnato che va bene essere se stessi, anche se non si fa proprio pendant con la scenografia.
Senza lasciare indietro nessuno
Essere se stessi per i “Regaz” vuol dire anche questo: solidarietà e lotta. Attaccati ai rever delle loro giacche, infatti, c’erano i nome di cinque operai di Pomigliano: Antonio Montella, Mimmo Mignano, Marco Cusano, Massimo Napolitano, Roberto Fabbricatore, licenziati quattro anni fa per aver impiccato un manichino di Marchionne per denunciare il suicidio della collega Maria Baratto. Il loro licenziamento è stato dichiarato illegittimo e la loro reintegrazione obbligatoria. Ora sono stipendiati, ma la Fiat non li rivuole sul posto di lavoro.
Primati: dall’autoproduzione ai sold out
Tra le tracce di Primati, l’ultimo album dello Stato, tra i vari brani più riusciti e di successo (anche se loro la chiamano un’operazione di «raccolta differenziata») con tre inediti: Una vita in vacanza, Fare mattina e Facile (con Luca Carboni). Un po’ pop, ma comunque dei pezzi ben riusciti.
Sempre in questo lavoro troviamo una geniale riscrittura della loro canzone Sono così indie, un bel modo per ricordare a tutti che la loro arma migliore è l’autoironia. Si fa un passo indietro, a quando un gruppo che si autoproduceva non poteva farcela. E allo stesso tempo si fa un passo avanti, a questi giorni di Festival: polemichetta dopo polemichetta, il bello del loro Sanremo è che sono rimasti idioti come sempre.
Sono così indie che uso la parola indie da dieci anni e nessuno ha ancora capito che cosa vuol dire
Però andiamo a Sanremo che non è una cosa molto indie
Facciamo un best of che non è una cosa molto indie
Non diciamo le parolacce che non è un atteggiamento molto indie
Ma vai a fanculo
Però dici che adesso l’indie va di moda quindi fanculo tutti facciamo il cazzo che ci pare[…] Oh, finalmente sono diventato grande
Cosa?
Sono diventato grande
No!
Ciao mamma esco
Dove vai?
Vado a fare sold out
No
Ciao
Torna
Ciao
Eh, è andato[…] Sono così indie che mi permetto di citare la mia band
Perché siamo qua da un po’ e pare sia tutta colpa nostra
Finalmente un merito che non sia di Manuel Agnelli
Sono così indie che vado in tv da Fazio Giorgio Mastrota: wow!
In radio da quello simpatico come si chiamava?
Su spotify nel tuo telefono
E ormai non so più se faccio musica per le persone
O per gli elettrodomestici
Fonte foto: oggi.it