Sebbene il XIX e il XX secolo annoverino grandi e raffinati pianisti quali Friedrich Chopin e Claude Debussy, altri compositori espressero il loro genio, creando opere sublimi oggi obliate. Fra questi si distingue l’inconsueto e irriverente Erik Satie (Honfleur, 17 maggio 1866-Parigi, 1 luglio 1925) le cui Gnossiennes si possono udire in moltissimi film (Il velo dipinto, 2006, Hugo Cabret, 2011) senza che si riesca tuttavia ad associare la melodia al compositore. Uomo di sopraffina “extravagance”, Satie fu una personalità curiosa e maniacale; collezionista di ombrelli che non usava mai, amante di costosi completi in velluto che faceva confezionare rigorosamente identici, fu anche amante della vague orientaleggiante, nonché avvezzo a pratiche di occultismo.
Capo dell’ordine cabalistico dei Rosacroce (ordine ermetico cristiano), Erik Satie riversa misticismo, raffinatezza ed estro nelle sue composizioni per pianoforte la cui melodia è soffusa ma intensa, percepibile anche nello stordimento, apprezzabile persino nella confusione (residuo della sua formazione da cabarettista). Fondamentale sperimentalista distante dall’accademismo tradizionale, Satie rispecchia un ideale impressionista di bellezza reale, usando nelle sue opere i suoni meccanici del progresso tecnologico. Autore del brano più lungo della storia (Vexations, della durata di circa 20 ore), egli è particolarmente noto per due serie musicali: le Gymnopédies, tre opere per pianoforte composte nel 1888, e le Gnossiennes, sei composizioni sempre per pianoforte del 1890.
Le Gymnopédies prendono il nome da alcune festività dell’antica Sparta, le Gimnopedie, che mescolavano l’esaltazione del corpo, tramite esercizi ginnici e danze, alla sublimità del canto rituale. La ritmicità processionale è espressa dalla cadenza lenta e alternata del valzer, esprimendo una malinconia nostalgica e struggente, rappresentante di un mondo distante e ancestrale ormai perduto.
Le Gnossiennes si accostano alle precedenti opere per la ricercatezza del titolo, in quanto entrambi sono sintomatici di uno snobismo intellettuale e di una pretesa superiorità culturale. Il termine Gnossiennes venne infatti coniato dallo stesso Satie, riprendendo il termine greco antico gnosi, che identificava una conoscenza religiosa non derivante dall’esperienza o da postulati empirici, ma da un dono divino frutto di illuminazione (altre fonti lo assimilano al termine gnossus, ovvero Cnosso, luogo di ambientazione del mito di Teseo, Arianna e del Minotauro). Sublimi e commoventi, queste danze si compongono di temi ripetuti e rinnovati mediante alternanze.
Evidente in tutte le composizioni di Satie è una sacralità di fondo permeata dalla fumosità dell’incenso e dell’oppio, e le sue note rievocano e dipingono a tinte scure luoghi oscuri, orientaleggianti e intrisi di un misticismo illuminato.
Radicale, superbo, non assimilabile o inscrivibile in alcun movimento, Erik Satie fu un musicista duttile, plastico, la cui musica fu malleabile e tattile, le cui melodie, in una metamorfosi perpetua, si adattano all’ambiente, all’epoca di rappresentazione rimanendo sempre moderne e sorprendentemente attuali.