Figlia d’arte plasmatasi sui set cinematografici, la regista e sceneggiatrice Sofia Coppola è ora entrata nell’empireo dei registi statunitensi di nuova generazione, grazie a pellicole dal tono fresco e nuovo, ma soprattutto delicato ed estremamente femminile.
Sofia Carmina Coppola, nata a New York il 14 maggio 1971, fa parte di una delle famiglie d’oro di Hollywood. Figlia del grande regista italoamericano Francis Ford Coppola, è sorella del regista Roman Coppola, nipote dell’attrice Talia Shire e cugina di Nicolas Cage, Jason Schwartzman e Robert Carmine.
La sua carriera cinematografica ha inizio ancora in fasce, apparendo appena nata in una scena de Il Padrino, nei panni (maschili) del nipote di Micheal Corleone. Dopo altri brevi cammei, talmente criticati da valerle il Razzie Award come Peggior attrice non protagonista, la giovane Sophia decide di seguire le orme paterne dedicandosi alla regia.
Esordendo negli anni Novanta con i cortometraggi Bed, Bath and Beyond (1996) e Lick the Star (1998), raggiunge il successo fin dal primo lungometraggio del 1999, Il Giardino delle Vergini Suicide (The Virgin Suicides), grazie al quale nasce anche la duratura e proficua amicizia con l’attrice Kristen Dunst. In questo film, tratto dal romanzo omonimo di Jeffrey Eugenides, si possono già distinguere in modo nitido i tratti distintivi del cinema della Coppola. La pellicola tratta infatti, in modo delicato e quasi fiabesco, il tema del suicidio adolescenziale, raccontando l’epopea che conduce le cinque giovani sorelle Lisbon alla morte. Therese (Leslie Hayman), Mary (A.J. Cock), Bonnie (Chelsea Swain), Lux (Kristen Dunst) e Cecilia (Hanna R. Hall) sono cinque sorelle tra i tredici e i diciassette anni, che vivono un’esistenza noiosa e rigidamente controllata nella Detroit degli anni settanta. Bellissime e misteriose, le ragazze Lisbon sono il sogno proibito di tutti i giovani uomini del quartiere – questi ultimi voci narranti del film – ma a causa della bigotta educazione dei genitori, mista fra il fanatismo religioso e i regimi dittatoriali, vivono praticamente recluse, estranee al confronto con l’altro sesso e soprattutto tremendamente annoiate, tanto da decidere di togliersi la vita. L’attenzione che la Coppola pone ai dettagli (come boccette di profumo a forma di unicorno, rosari, e profumati rossetti) è quasi una scelta narrativa, come se l’esistenza dei suoi personaggi fosse determinata da queste piccole cose fondamentali, intrise dei loro sogni e sentimenti, minute soddisfazioni malinconiche del mondo femminile.
La stessa sensibilità viene espressa nel film premio Oscar Lost in Translation – L’Amore Tradotto (2003) con protagonisti Scarlett Johannson e un superbo Bill Muray, interpreti del disagio che nasce dall’incomprensione. Ambientata in una Tokyo da cartolina, fra alberghi lussuosi e sale gioco, la pellicola rappresenta, nel suo senso più intimo e profondo, l’incomprensione in tutti i suoi aspetti. La giovane Charlotte e Bob, attore di fama internazionale, incarnano la sensazione di trovarsi di fronte a persone che non parlano, sotto ogni aspetto, la loro lingua, tranne quando sono insieme. Accompagnato anche da momenti di raffinata comicità, il film ha ottenuto quattro nomination agli Oscar, aggiudicandosi la statuetta per la miglior sceneggiatura originale.
Ed ecco che l’estetica della regista si è definitivamente formata, le atmosfere da polaroid, i sentimenti profondi ma appena accennati, i dettagli infimi e fondamentali, il suo cinema è Donna, poiché il suo occhio sa dove posarsi per essere preciso e allo stesso tempo rimanere vago. I colori, le immagini e i temi raccontati sono prismi irradiati dall’universo femminile. Realtà diverse, come il dolce ma difficile rapporto tra padre e figlia di Somewhere (2010). Leone D’oro come Miglior Film alla 67ª mostra internazionale del cinema di Venezia, il film è una storia d’amore salvifico, in cui la giovane Cleo (Elle Fanning) è un rimedio alla vita sregolata è vuota del padre attore Johnny Marco (Stephen Dorff). Sono storie vere, le vite e i sentimenti di donne reali, come la smania di fama e ricchezza adolescenziale di Bling Ring con Emma Watson (2013), dove sogni di paillettes e vodka spingono alla criminalità. Tratto da fatti realmente accaduti, il film ripercorre l’ascesa criminale della banda di Bling Ring, cinque ragazzi di Los Angeles alle prese con furti in case di celebrità, abiti griffati e manette.
Dal taglio inconfondibile, dallo stile unico e dai lievi toni rosati, il lavoro della Coppola è femminile, giovane e vivace, ma anche grintoso come le sue colonne sonore rock, determinato e consapevole, è come l’evoluzione della femminilità dallo stato embrionale dell’infanzia fatta di pasticcini, palloncini e caramelle, all’adolescenza luminosa di vestiti colorati, fiori freschi e balli fino a tardi, fino alla maturità dell’amore, dell’errore, della redenzione.
Firma dietro numerose campagne pubblicitarie per la maison Dior (nelle quali ha diretto anche la meravigliosa Natalie Portman), Sofia Coppola rappresenta ormai uno stile, un’icona che incarna i desideri più rosei delle donne, ma che allo stesso tempo le richiama alle loro responsabilità, mostrando tutti i risvolti, belli o brutti, che sopraggiungono quando il sole entra dalla finestra, il sogno si allontana, e ci si sveglia.
Il film della settimana:
Marie Antoinette (2006)
Capolavoro indiscusso e lavoro più iconico della Coppola, Marie Antoinette (2006) è il trattato in cui la regista stila i capisaldi della sua arte. Interpretata da una magistrale Kristen Dunst, la mitica regina rivive in veste rock e ribelle, adolescente insofferente alle regole, giovane bella e ricca che lancia la moda e che può concedersi il lusso più sfrenato. Narrando la storia della regina al suo arrivo alla corte di Francia, il film è una sorta di percorso che ci porta a capire perché l’arciduchessa d’Austria e delfina di Francia è divenuta Marie Antoinette, regina sregolata degli eccessi.
È in fondo una giovane come tutte che ci viene presentata, che ama pasticcini colorati decorati da petali di rosa e champagne, scarpe piumate e gioielli, abiti lussuosi e riccamente decorati, acconciature estrose e balli e giochi con le amiche di sempre. La Duchessa di Polignac (Eleonora De Angeli) è una festaiola mondana e frivola, la principessa di Lamballe (Rossella Acerbo) è l’amica fedele e leale e il conte Fersen (Jamie Dornan) il primo grande amore che non guarda chi colpisce, corona o cuffia da serva. Oscar 2007 per i Migliori costumi, Marie Antoinette ha consacrato Sophia, svincolandola dall’ombra paterna, come regista iconica e storica, artefice di un nuovo cinema poetico e sensuale, seduttore e dolcemente beffardo, in cui una delle più grandi regine della storia, mangiando glassa rosa da morbide torte, si volta al pubblico e alla critica pronta a respingere sarcasticamente qualsiasi giudizio.