Telegram e X stanno fronteggiando le proteste degli Stati che vorrebbero più cooperazione nella gestione e censura di account legati alla criminalità.
Privacy totale contro sicurezza. Libertà di espressione assoluta contro censura. Sono questi, grosso modo, i termini del dibattito che si è creato intorno all’arresto di Pavel Durov e alla diatriba tra Elon Musk e il giudice brasiliano Alexandre de Moraes.
Il caso Durov
Il fondatore di Telegram è stato fermato a Parigi lo scorso 24 agosto, accusato dalle autorità francesi di una serie di reati collegati ad attività illecite sull’app. Tra queste, la complicità della piattaforma nel consentire transazioni illegali e la mancanza di collaborazione con le forze dell’ordine. Secondo i procuratori francesi, l’arresto di Durov avviene nel contesto di un’indagine più ampia aperta il mese scorso su attività criminali all’interno di Telegram, come abuso sui minori, traffico di droga e crimini d’odio online.
Trentanovenne, nato a San Pietroburgo, con residenza a Dubai, Durov è il fondatore di VKontakte, l’equivalente russo di Facebook. Nel 2014, è costretto a lasciare il suo Paese d’origine proprio per non aver fornito dati del suo social network all’intelligence russa. Un anno prima, nel 2013, fonda Telegram con i propri soldi per realizzare un progetto che possa garantire la privacy a tutti. Infatti, l’app di messaggistica, nonostante condivida alcune caratteristiche con altre piattaforme come WhatsApp e Signal, si contraddistingue per la sua minima moderazione dei contenuti e per la possibilità di creare gruppi anche di migliaia di persone.
L’arresto di Durov ha scatenato una serie di polemiche. Elon Musk è subito corso in sua difesa twittando sul suo social X, nel quale ha adottato una politica di censura simile a quella di Durov, “#FreePavel”. Leonid Volkov, ex consigliere di Aleksei A. Navalny, il dissidente russo morto in prigione lo scorso febbraio, ha detto che, nonostante Telegram permetta alle attività criminali di organizzarsi, Durov non può essere considerato complice dei crimini commessi dagli utenti di Telegram.
È interessante notare, poi, come a catapultarsi in difesa del fondatore del sistema di messaggistica ci siano personaggi di spicco della Russia, come Vladislav Davankov, vicepresidente della Duma di Stato, una camera del Parlamento russo, il quale ha affermato che con l’arresto del fondatore di Telegram, i dati degli utenti sarebbero stati in grave pericolo. Ciò mette in luce un paradossale allineamento politico tra i difensori della libertà di espressione, anche nelle sue forme più controverse, come Elon Musk e, più in generale, l’ala repubblicana americana, e i politici russi che, come detto sopra, hanno costretto Durov all’esilio per la sua mancanza di collaborazione in merito all’accesso ai dati di VKontakte e che si possono considerare tra i massimi esperti della repressione del dissenso.
Secondo i critici dell’arresto, dunque, Durov non può essere considerato colpevole dei reati commessi all’interno della sua applicazione. Sebbene possa essere interessante da una prospettiva etica, però, questa obiezione non centra il punto.
Infatti, Durov non è accusato dei crimini commessi da altri, ma di non collaborare con l’autorità e di non moderare i contenuti in maniera adeguata. Tuttavia, questo è anche il motivo dell’enorme successo di Telegram perché permette la conversazione e la condivisione di informazioni anche in Paesi con regimi autoritari. Dall’altra parte, però, ciò ha anche consentito il proliferare di account e gruppi legati ad attività criminali. E il nocciolo della questione è proprio questo: cosa fare di una app che dà voce a, e permette la comunicazione tra, persone sotto dittatura, ma che allo stesso tempo permette alla criminalità di crescere?
Leggi anche:
I social? Tappabuchi delle nostre insicurezze
Musk alle prese con la giustizia brasiliana
Anche Elon Musk, e il suo X, hanno alcune grane da affrontare con lo stato di diritto. Lo scenario questa volta è l’America del Sud, nello specifico il Brasile. Qui, il giudice brasiliano Alexandre de Moraes ha, da diversi mesi, messo in piedi una campagna per rimuovere profili sui social network, in genere legati alla destra sostenitrice di Jair Bolsonaro, che, secondo la sua opinione, minacciano la democrazia brasiliana. Così, nelle scorse settimane, il giudice ha chiesto al team per gli affari governativi di X di rimuovere almeno 19 account, e che se non avessero rispettato l’ordine sarebbero incorsi in multe o nel possibile arresto del rappresentante legale di X in Brasile.
Per tutta risposta, Musk ha chiuso l’ufficio in Brasile per evitare di incappare in sanzioni. Il braccio di ferro non è finito qui. Infatti, da sabato 31 agosto X è stato oscurato in tutto il Brasile, e il giudice Moraes ha affermato che chi avesse provato ad aggirare il blocco con un VPN (rete virtuale privata) avrebbe ricevuto una multa di circa novemila dollari al giorno. Musk ha dichiarato sul suo social che «La libertà di parola è il fondamento della democrazia e uno pseudo-giudice non eletto in Brasile la sta distruggendo per scopi politici».
Il giorno dopo, Starlink, la società di servizio internet satellitare gestita da Musk, ha detto che non avrebbe rispettato l’ordine di bloccare X. In questo modo, i suoi 250.000 clienti avrebbero comunque avuto accesso al social. Nonostante, infine, lo scorso martedì 3 settembre Starlink ha fatto dietrofront e accettato gli ordini del governo brasiliano, la diatriba ha messo in luce il potere di Musk, che lo sfrutta a suo vantaggio anche per confrontarsi con le autorità e sfidare le leggi che non gli vanno a genio.
Bilanciare i diritti
Tuttavia, possiamo leggere la stessa situazione da una prospettiva opposta. Infatti, dopo anni in cui i social media hanno potuto operare senza troppi problemi da un punto di vista normativo, qualcosa sembra muoversi e le autorità di diversi paesi iniziano a prendere qualche contromisura al loro strapotere. In questo senso, gli avvenimenti di Durov e Musk possono essere messi in correlazione: in entrambi i casi i governi hanno chiesto di porre un freno alla proliferazione di account pericolosi per la stabilità sociale.
Questa sarà la sfida che dovranno affrontare i governi. Infatti, se per un verso è giusto che ci sia una tutela dei cittadini per quanto riguarda la sicurezza che questi social sembrano mettere in pericolo (pedopornografia, terrorismo, ecc.), per un altro il rischio di mettere un bavaglio alla libertà di espressione è molto grande. Peraltro, se dovessero aumentare le richieste da parte della polizia e della giustizia di avere accesso ai dati della popolazione, la possibilità di un controllo capillare da parte dello Stato dei dispositivi elettronici si farebbe sempre più concreto. Inoltre, i governi autoritari potrebbero prendere esempio e censurare le piattaforme online in modo sempre più aggressivo.
Un rimodellamento dell’architettura dei social sarà fondamentale per il futuro delle democrazie. Il rispetto della libertà d’espressione (non assoluta) anche.
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!
Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!