La mattina di oggi, 18 Febbraio, Paolo Gentiloni, ministro degli esteri, ha pronunciato un discorso di chiarimento al Parlamento sulle prossime tappe per intervenire in Libia. Oggi pomeriggio, inoltre, si è riunito il consiglio di sicurezza della Nazioni Unite a New York. Ma innanzitutto è necessario spiegare perché “Libia” non definisca più un vero e proprio Stato, quanto un territorio diviso da fazioni politico-militari fra loro contrapposte.
Dopo la caduta e l’uccisione di Gheddafi (ottobre 2011) gli interventi delle istituzioni occidentali hanno fallito nell’intento di riportare democrazia nel paese – così come fallimentari furono le passate strategie di “peace-keeping”, vedi Iraq e Kuwait. Vi sono due governi: a Tripoli, nell’ovest, le milizie islamiste Fajr Libya, a Tobruk, nell’est, il governo di Abdullah al Thani riconosciuto legittimo dalle comunità internazionali. Sulle coste centrali imperversa invece l’avanzata dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) che, dopo aver ottenuto Derna, puntano a conquistare Bengasi e a Sirte. Pertanto, la presenza del gruppo terrorista si aggiunge a quattro anni di guerre civili fra le forze governative e quelle islamiste, che tuttora si protraggono.
Che fare in una situazione così delicata?
Gentiloni ha oggi esortato le comunità internazionali a «moltiplicare gli sforzi diplomatici» poiché «mentre i negoziati muovono i primi passi, la situazione in Libia si aggrava. Il tempo non è infinito e rischia di scadere presto, pregiudicando i fragili risultati raggiunti». In attesa degli esiti dell’odierna riunione del consiglio ONU, la speranza più sincera è che l’Occidente cessi di creare ulteriori danni con provvedimenti irresponsabili. Se la deposizione del regime di Gheddafi ha riportato in auge rivalità tribali è anche per la mala gestione da parte delle comunità internazionali.
Nonostante le istituzioni in Libia, su stessa ammissione del ministro, siano di scarsa presenza, urge garantire una convergenza di sforzi diplomatici. Gli Stati Uniti giocheranno in questo senso un ruolo primario (come del resto lo ebbero in passato per qualsiasi guerra): sarà essenziale il loro netto rifiuto di un’occupazione militare senza prima imbastire localmente un fitto dialogo politico.
Questa mattina, infine, è uscito sul sito della rivista Internazionale la profonda riflessione del regista Andrea Segre (Io sono Li, La prima neve): quanto può essere nocivo il giudizio affrettato su questi delicatissimi fatti? Per approfondire, consigliamo di leggere qui.
Andrea Piasentini