Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra è il titolo dell’esposizione in corso a Palazzo Reale a Milano fino al 5 giugno prossimo. Inaugurata lo scorso febbraio, la mostra si inserisce in un più ampio programma dedicato all’arte di fine Ottocento e inizio Novecento, di cui fa parte anche Alfons Mucha e le atmosfere art nouveau, visitabile fino al 20 marzo. Promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale, 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e Arthemisia Group, la mostra è a cura di Fernando Mazzocca e Claudia Zevi in collaborazione con Michel Draguet. Con 24 sale e 137 opere la mostra ha anche reso possibile il restauro e la manutenzione di alcuni importanti capolavori provenienti da vari musei italiani: dimostrazione di come gli eventi temporanei possano essere anche l’occasione per una partecipazione attiva alla conservazione del patrimonio artistico grazie ai finanziamenti che da esse ne derivano.
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Quando si parla di Simbolismo si pensa subito a Charles Baudelaire, vuoi per gli studi scolastici, vuoi per il fascino che da sempre esercita. Non a caso la mostra di Palazzo Reale comincia proprio con alcune fotografie d’epoca del poeta, a firma di Gaspard Felix Tournachon detto Nadar, e la poesia di Baudelaire nel suo capolavoro Les fleurs du mal è il filo conduttore dell’intera esposizione, dove i versi e le opere d’arte si intrecciano in un dialogo continuo che rende facilmente evidente la reciproca influenza tra le diverse forme artistiche nel periodo. Un momento, quello che segue la diffusione de I fiori del male, Bibbia del Simbolismo, che è da considerarsi una vera e propria rivoluzione tanto nell’ambito letterario quanto in quello artistico: una fuga dalla realtà e dalla storia, un’analisi critica alla modernità e alla sua espansione e insieme un passo fondamentale della modernità stessa.
Seguendo le linee fondamentali della ricerca poetica di Baudelaire, di Arthur Rimbaud e, in generale, degli autori e capolavori della letteratura simbolista e decadente, italiana ed europea, le sale mostrano al visitatore la resa pittorica, visiva, dei medesimi temi affrontati nella parola scritta: un’occasione decisamente interessante sia per chi conosce in modo approfondito le radici e le immagini della letteratura simbolista, sia per chi ne conosce solo la fama e il fascino intramontabile. Si comincia dal sogno, dalla rêverie, dall‘incubo come momento di rivelazione della verità ultima delle cose, scaturito dall’arrivo della notte ma anche dall’uso di droghe, oppiacei, assenzio e sostanze artificiali. Una ricerca di piacere e insieme di follia, che permetta all’uomo di allontanarsi quanto più possibile dalla propria condizione naturale, una condizione di spleen, per avvicinarsi alla dimensione dell’assoluto: «au fond de l’inconnu pour trouver du nouveau», «fino al fondo dell’ignoto per trovare qualcosa di nuovo», dice Charles Baudelaire nella poesia Le Voyage.
È la volta poi dell’Eros, connesso con la Morte, Thanatos, in cui si inscrive la ricerca di amore sadico, violento, infernale, altro strumento di evasione dal reale. La donna è vista qui come portatrice di piacere sessuale vitale e insieme di morte, di decomposizione macabra e distruzione crudele. È la Cleopatra Morente di Giacomo Previati, sono le donne di Gabriele d’Annunzio. Alla dimensione infernale si connette l’opposizione dualistica tra Luce e Oscurità, tra figure angeliche e mostruosità. Giulio Aristide Sartorio la rappresenta attraverso la Parabola evangelica delle Vergini Folli e delle Vergini Savie, tanto cara anche a Rimbaud in Une Saison en enfer: salve coloro che hanno saputo conservare la luce della propria virtù per l’arrivo dello sposo, dannate quelle che l’hanno lasciata spegnere. Il tema della tenebra e del diabolico rimanda poi al mito di Lucifero, portatore di luce caduto nell’oscurità per volere di Dio, ma «Che cos’è la caduta? Se l’unità è diventata dualità, è Dio che è caduto; in altri termini la creazione non sarebbe forse la caduta di Dio?» si chiede Baudelaire ne Il mio cuore messo a nudo. In effetti, il grande Lucifero di Franz Von Stuck che fissa il visitatore della mostra con aria di rassegnata superiorità sembra proprio volergli ricordare che Lucifero è lui stesso, l’uomo. A queste riflessioni si affiancano quelle sullo scorrere del Tempo come alternarsi di alba e crepuscolo, momenti di passaggio tanto cari alla cultura simbolista. In alcune delle opere esposte è possibile notare la forte influenza che l’arte di questo periodo ebbe sulle successive Avanguardie: chiare per esempio le riprese che ne fece la pittura di Umberto Boccioni e dei Futuristi. Non mancano nemmeno i riferimenti alla musica con il motivo del Claire de Lune, famoso nella versione di Claude Debussy.
Ampio spazio è dedicato al disegno e ai bozzetti preparatori. Interessante il ciclo Pornokrates di Félicien Rops, rappresentante una donna nuda con dettagli alla moda trascinata da un maiale al guinzaglio su un fregio che raffigura le arti: simbolo della società moderna, schiava della lussuria che ottenebra la creatività e il pensiero. Altrettanto degna di nota la serie di dieci disegni a penna di Max Klinger, tratti dal ciclo Un guanto, che raccontano una storia d’amore tormentato e non corrisposto attraverso il dettaglio raffinato e borghese del guanto perso dalla donna amata: dal guanto-feticcio di desideri e sogni ambigui fino al guanto sgualcito per le pene d’amore sofferte, con Cupido che abbandona le armi. Immagini che richiamano il gusto simbolista per il dettaglio raffinato e modaiolo, che si fa simbolo di altro e diventa anche pretesto di numerosi componimenti poetici come Autre éventail di Stephane Mallarmé.
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Il ciclo ha peraltro ispirato la canzone omonima del cantautore Francesco De Gregori.
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Importanti poi le sale dedicate a Odilon Redon, che con i suoi disegni a carboncino e inchiostro raffigura la dimensione dell’inconscio, del primordiale, il visibile che si mette a servizio dell’invisibile, il bizzarro: una fabbrica iconografica che trae ispirazione sia dalle ricerche di Sigmund Freud
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e sia da quelle di Charles Darwin, che ebbero un notevole influsso sull’arte simbolista.
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Sempre di disegni si tratta anche per le opere a inchiostro di china di Alberto Martini, che affronta il mondo dell’occulto e dell’esoterismo, altro tema caro ai Simbolisti, attraverso alcune illustrazioni dedicate ai racconti dell’orrore di Edgar Allan Poe, notoriamente legato alla figura di Baudelaire.
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Non mancano poi i riferimenti all’importanza assunta dalla mitologia nella letteratura e nella pittura simbolista, così come nella musica: l’omaggio a Richard Wagner e alla sua considerazione sulla «comunità armonica di tutte le arti», intesa come possibilità di far convergere in un’unica grande opera tutte le forme della creatività umana, lo dimostrano. Il mito è sia fuga dal reale sia modello ideale di valori a cui attingere. Due immagini molto care all’arte simbolista sono quelle di Orfeo e Medusa, accomunate dalla decapitazione, l’uno delle Baccanti l’altra di Perseo. I due soggetti si rivelano metafora della caducità delle passioni terrene, suggestione per la coscienza dell’osservatore. Ma negli occhi di Orfeo decapitato c’è anche quella «sregolatezza dei sensi» che è condizione imprescindibile per l’artista, il «poeta veggente» di Rimbaud. Evidente è la forte influenza della produzione di Gustav Klimt e dei Secessionisti di Vienna, come nel caso di La leggenda di Orfeo di Luigi Bonazza.
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Argomento delle opere in mostra è anche il tema della Natura come luogo delle Corrispondenze, titolo del famoso sonetto di Baudelaire, luogo dell’armonia universale, delle rivelazioni dell’Assoluto, in base a una concezione panteistica tipica del secondo ‘800. A questo si affianca la figura femminile, rappresentata sia come donna-angelo, simbolo di maternità e fertilità, sia come femme fatale, sfinge demoniaca, la Bellezza che annienta l’uomo, come nell’opera icona della mostra: Carezze (l’Arte) di Fernand Khnopff.
A conclusione dell’esposizione alcune opere che dimostrano il forte interesse dei Simbolisti per la componente esotica e orientaleggiante, nonché per il preziosismo e il decorativismo. Di notevole effetto scenico la sala interamente dedicata all’enorme Poema della vita umana di Giulio Aristide Sartorio, con i suoi 500 x 600 cm circa. All’interno della mostra, infine, anche una piccola parentesi dedicata all’arte dei cosiddetti Nabis, la cui pittura sceglie colori puri e piatti, diventa spirituale e si fa tramite per svelare i significati nascosti del reale.
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