Sanremo 1970, Adriano Celentano cantava «chi non lavora, non fa l’amore». A distanza di cinquantadue anni possiamo solo smentire le sue parole perché, caro Adriano, nel 2022 chi lavora non fa l’amore. A quanti è comune questa situazione? Tantissimi, purtroppo, come dimostrano diversi studi a riguardo. Come, infatti, sostiene un articolo di Adnkronos del 2017, quindi già cinque anni orsono, il lavoro contemporaneo ammazza l’amore e il sesso, come sua sublime declinazione.
Lo psicologo Raffaele Morelli, in un suo video sul canale Youtube Edizioni Riza, sostiene che se una persona ti ama, ti desidera.
E quindi, chi ha ragione?
Nel saggio La fine dell’amore – Amare e scopare nel XXI secolo, Tamara Tenenbaum (Fandango, 2022 – 120) ci dice chiaramente che:
La definizione “mercato del desiderio” (…) è un concetto che serve a spiegare il modo in cui i nostri attuali rapporti sessoaffettivi, che sembrano liberi e individuali, rispondono alla logica del mercato, del decentramento e della deregolamentazione. Può suonare freddo e spersonalizzante, ma l’aspetto interessante è un altro: pensare fino a che punto il modo in cui affrontiamo uno scambio commerciale può servire anche a capire gli incontri erotici.
Ora, serve fare ordine ed analizzare la situazione nel concreto; le tre tesi sopra esposte sono, infatti, tutte parti di uno stesso flusso che ci condurrà a comprendere perché oggi fare sesso o, ancora più raramente, fare l’amore, è diventato così difficile e macchinoso.
Ad essere colpiti da questo, che possiamo con tutta franchezza definire «un dramma sociale», sono per la maggiore i Millennial, ovvero coloro nati tra il 1980 e il 1995, una generazione di adulti e giovani adulti, a cui viene imputato il calo delle nascite e il declino morale della nostra società. Ma, probabilmente, le cause sono più profonde.
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Lavoro precario, sesso precario, amore precario
I millennial si sono visti trascinare nel mito del lavoro precario già dai primi anni duemila. Le lauree a crediti formativi, nel modulo 3+2 per immetterli prima nel mercato del lavoro, lanciati come schegge impazzite in una società che si andava sempre più definendo come precaria, frammentata, instabile.
Tutto, insieme al lavoro, inizia a diventare precario. Le certezze del passato cominciano a crollare e ci si ritrova a trent’anni in una condizione completamente diversa da quella dei nostri genitori. Diventa quasi impensabile andare a vivere da soli e addirittura chimerico acquistare una casa e mettere su famiglia.
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L’amore e le relazioni affettive? Chiaro che anch’esse vengono travolte dal tornado del precariato. Si cambiano partner esattamente come il lavoro, soprattutto se esso porta i soggetti spesso lontani, nella totale impossibilità di fermarsi per costruire qualcosa di stabile.
Se si è costretti a stare sei mesi in un luogo, quattro settimane in un altro, due anni da qualche altra parte, per poi vedersi crollare puntualmente i contratti a progetto, la dimensione del nomadismo comincia a naturalizzarsi, finanche nella sua declinazione affettiva.
Chi lavora non fa l’amore
Nel precariato generale, lavorare su progetti in modo altamente performante a causa della concorrenza sempre più spietata e della totale mancanza di un’etica e di una morale del lavoro, dove tutto si consuma come un pacco di chips in spiaggia, tutte le energie mentali e fisiche di una persona sono concentrate sul lavoro. Per non parlare, poi, del magico mondo dei freelancer con partita iva, senza nessun ammortizzatore sociale e nessuna garanzia di sostegno economico in caso di malattia o di gravidanza, che si spezzano in mille pezzettini, perdendo definitivamente il senso olistico del sé e quella ricchezza che la relazione amorosa e sessuale sana apporta all’esistenza.
Come afferma il filosofo Michel Maffesoli, nel saggio Ecosofia (Diana Edizioni, 2018 – 121), a proposito dell’olismo umano negato dalla società contemporanea,
(…) un individuo puramente razionale e che instaura un contatto con l’alterità soltanto nel quadro del “contratto sociale”. Contratto puramente culturale, contratto che nega ogni valore al sostrato naturale. (…) Il paradigma alternativo a questo è quello della “abialità” (ab alio): ossia essere sé a partire dall’Altro.
Come si dice nell’estratto, un soggetto umano che riconosce l’altro solo all’interno del contratto sociale, ovvero delle norme culturali e comportamentali che regolano la società umana, nega l’olismo insito nella natura umana e di tutte le cose, che si esplica nella relazione in cui un soggetto esiste a partire dalla presenza dell’altro.
Questo vale anche per la sfera sessuale, in cui, disconoscendo l’altro nella sua natura e riconoscendolo solo all’interno delle regole sociali, il sesso appare come un momento superfluo perché eccede la logica dell’utile.
Il sesso oltre la logica dell’utile
Contaminati fino nel midollo dalla logica dell’utile e dalla performatività d’ogni azione all’interno della società, il sesso appare inutile, quindi evitabile.
Nel rapporto sessuale, il luogo dove si concretizza il desiderio e la relazione sublimata con l’altro, non vi è nulla di utile, perché è l’atto stesso che ha valore in sé. Richiedendo, esso, particolari energie e coinvolgimento emotivo, assume un ruolo eccedente a tutte le preoccupazioni pragmatiche che soffocano quotidianamente gli esseri umani.
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È per questo che la sfera sessuale diventa l’ultima preoccupazione giornaliera, è per questo che i giovani adulti non fanno sesso o ne fanno poco e male. L’essere con l’altro, l’essere totalmente in quel momento con sé e con l’altro, affinché l’atto sessuale «di qualità» si realizzi e si sublimi dal contingente verso il soddisfacimento del piacere personale e interpersonale, è un’occupazione che non porta nessun profitto e che, quindi, «non è utile» a nulla nella logica post – capitalista del precariato e della concorrenza spietata.
Riprendersi il sé e l’altro
Cosa possiamo fare, quindi, per ovviare a tutto questo? Il riappropriarsi della natura delle cose, a partire dalla propria, e imparare a godere del momento presente, svincolandosi talvolta dall’ossessione dei progetti futuri e dagli obiettivi da raggiungere e da smarcare per poter scalare la società, potrebbe essere un buon inizio. Dobbiamo solo provarci.
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