Linda Lovelace che pratica la fellatio in Gola Profonda fu l’inizio della fine. Era il 1972, i cinema di Times Square programmavano il film più scandaloso di sempre e le femministe erano pronte a dare battaglia: istigazione all’odio, alla violenza sulle donne, trionfo dell’immagine del maschio tronfio e conquistatore. In realtà la pellicola di Gerard Damiano aveva in sé un germe più furbescamente imprenditoriale: quello dell’avvio dell’industria del Porno. Spaccando l’America tra progressisti contrari a ogni censura e strenui difensori della morale, Deep Throat ha sdoganato un genere per anni ghettizzato finendo (a torto?) per inserirlo nel mito del proibito. Il fenomeno del Pop Porno (no, non è la canzoncina del gruppo meteora Il Genio) da allora non si è più fermato. Se Linda Lovelace è stata recentemente rispolverata dal cinema statunitense facendola rivivere nei panni di un’onnipresente Amanda Seyfried, è forse perché il genere a luci rosse ormai non ha più barriere e finisce per attorcigliarsi inevitabilmente su se stesso.
Sono lontani i tempi in cui, sul far della sera e complice la luce che affievolisce, ci si recava nelle videoteche specializzate nei film a tripla X. Per non parlare dei cinema porno, ormai ridotti a feticcio folkloristico. L’hard corre veloce su internet, è “l’amore” ai tempi del web. Nel 2006 veniva caricato il primo video su Youporn, che nel giro di due anni è diventato il canale hot più popolato al mondo. In Hard media. La pornografia nelle arti visive, nel cinema e nel web, Bruno Di Marino sottolinea come ormai, libero da tabù e falsi perbenismi, il pubblico ambigenere –ma femminile in particolare – ami gustare il porno di massa, senza preoccupazioni morali o pericolo, per i maschietti, di perdere la vista come dicevano gli anziani. Il porno è sempre esistito, o meglio l’erotismo più spinto ha fatto scuola dal Marchese de Sade fino a Linda Lovelace; eppure il suo presentarsi come circuito speciale, separato da altri campi, ha fatto sì che si evitasse qualsiasi contaminazione. È raro, infatti, che in un film, seppur dalle tinte fortemente calde, si assista alla carnalità dell’atto sessuale completo, con preliminari mostrati e orgasmi non censurati. Il porno fa questo, ha sempre fatto questo; ed è a causa di ciò che la sua “ghettizzazione” risultava essere funzionale al curioso senso del proibito.
Ma si sa, ormai siamo nella “società liquida”, e l’avvento dell’hard domestico può addirittura segnare la fine del porno propriamente detto. Zygmunt Bauman, in Sugli usi postmoderni del sesso, spiega come l’attività sessuale attuale si concentri esclusivamente sul suo effetto orgasmico. Ebbene, il “free porn” mette in scena l’orgasmo e lo rende quasi banale. Il suo sfondamento delle pareti del set ha causato un trapasso di confine, in cui tutto si confonde e si contamina. Pornosofia di Simone Regazzoni fa il punto sulla questione e sottolinea saggiamente come «la reincarnazione digitale nella rete ha un primo effetto, quello di rendere impossibile il controllo sociale del fenomeno del porno: non si controllano più la diffusione, la produzione e la fruizione». Ad essere erose sono le frontiere tra produttori e consumatori, tra spettatori e registi. Chiunque oggi può improvvisarsi direttore di regia, nell’epoca di Youporn si può fruire, far circolare e autoprodurre l’hard. Ma un video amatoriale che circola in rete è assai diverso da Gola profonda, da quelle pellicole proibite che sottobanco si facevano passare da un commesso compiacente; «la fine dell’hard come genere filmico è anche la fine dell’idea che debba assomigliare a un film: una serie di scene di sesso esplicito collegate da momenti narrativi».
I puristi del genere naturalmente storcono il naso: è come aver bevuto Cabernet Sauvignon ed esser poi costretti ad adattarsi a una società che vuole solo vino scadente. Ma questa è la legge del web, baby. Una legge che ha dei rischi, perché liberato dall’esilio il porno contamina le immagini in toto, dalla moda ai videoclip, dalla televisione al cinema soft. Fungano da esempio Rihanna e il video firmato Melina Matsoukas; S&M (Sadismo e Masochismo) vengono messi in scena su note accattivanti, mentre la bella cantante si fa legare in un ambiente dai colori pastello e porta al guinzaglio un baldo giovane come fosse un barboncino. Regazzoni ne vede un’appropriazione dell’intimità da parte della società dello spettacolo, una cannibalizzazione del sesso sotto i riflettori. Quel che appare evidente è che il Pop porno spinge a consumare l’erotismo in modo sfrenato, come un like o un colpo di click. «Dove c’è il tabù, c’è il desiderio» scriveva Sigmund Freud, ma ora che ogni veto è scomparso la questione appare un po’ più complicata. Ridateci Lovelace e le videoteche a tripla X.
[…] vero, il web ha ucciso le pornostar. Ciascuno può improvvisarsi amatore, chiunque a colpi di click può accedere facilmente ai filmini […]
[…] contro Generazione X, baby boomer più intraprendenti rispetto alla generazione cresciuta a pane e porno pop. Lo studio della dottoressa Twenge parla chiaro: il 15% dei giovani d’età compresa tra i 20 e i […]
[…] oggi, nel tempo dell’hard-core di massa, di filmini pornografici girati tra amici e diffusi poi in rete a costo zero, il film non tocca […]